LO SPAZIO NELLA FORMAZIONE

Una premessa fantastica

Ci pensavo da un po’, ma sicuramente ha dato il colpo di grazia aver incontrato i giovani ucraini dell’accademia di teatro di Kiev ospitati dal Centro di Pastorale Giovanile di Verona. Parlare con Matteo Spiazzi e con Emanuele, mi ha riportato a un periodo della mia vita in cui il palco era davvero tanto, se non tutto. L’ho fatto con serenità, come spiegavo a Emanuele, attore e futuro regista che ogni settimana viene su da Roma, a dare una mano per far continuare gli studi a questi trentina di splendidi giovani. Non mi definisco più teatrante per rispetto. La passione c’è ancora tutta e sicuramente tutto quello che so del palco lo porto nella formazione. Ed è proprio in quest’ambito che continua anche la ricerca. Così dopo aver insegnato per anni Animazione da Palco e Filosofia del Varietà, eccomi pronto in questa nuova avventura “Teatro&Formazione”, che cosa il teatro può insegnare al mondo della formazione. Anche perché dopo un incontro del genere… devo ammettere che mi sono venute in mente mille idee.

Cinque dimensioni di base  

Quando insegnavo teatro nelle scuole, per semplificare partivo dal dividere il teatro in cinque dimensioni, tutte distinte e tutte collegate. Ho visto che aiutava molto per impostare il lavoro con i ragazzi. Le 5 dimensioni erano: corpo, voce, spazio, storia, pubblico. Poi lavoravamo su ognuna di queste in modo specifico, facendo però emergere sempre di più il collegamento con le altre. Ognuna di queste, dimensioni infatti, ha dentro di sé tutte le altre, le chiama, le invoca. Ognuna di queste però è anche specifica e unica. Ognuna di queste le troviamo anche nella formazione. Oggi partiamo con lo spazio.

Lo spazio scenico

Ho impiegato un po’ di tempo, ma lavorando con il teatro di strada e il varietà, ho capito che il palco lo facciamo noi. Non nel senso che lo costruiamo con mattoni e legno, ma perché è il fatto stesso che vogliamo “dire qualcosa” che ci chiede di creare un palco.

L’ho scritto anche sul Manuale dell’imperfetto incontro formativo: “Non è forse un palco la cattedra di un professore, il cortile di un animatore, lo spazio sul pavimento da cui qualcuno dà informazioni a un gruppo in attesa? Sì, sono palchi in senso potenziale. Al contrario di un palco teatrale, che resta tale anche alla fine della rappresentazione, i palchi potenziali ridiventano cattedre, cortili e mattonelle. Da qui puoi capire che siamo noi che facciamo il palco. Noi e la storia che portiamo in scena” (pag. 94). Certo si parla di reggere il palco e sai il perché? Perché un palco è un creatore di aspettative, da un palco tutti ci aspettiamo qualcosa. L’aspettativa è la forza del palco e la croce del formatore.

Quindi è la nostra voglia di comunicare che fa un palco, e se un palco esiste già, l’aspettativa creata deve essere riempita dal nostro desiderio di comunicare e dal testo che vogliamo comunicare.

3 insegnamenti del teatro sullo spazio

Il teatro è molto chiaro sullo spazio. In particolare, ci consegna quattro assiomi.

  1. Scegli con cura. Come dice Giacomo Andrico, grande scenografo teatrale, lo spazio scenico è un segno registico fondamentale per uno spettacolo costruito con un forte impianto interpretativo. Che cosa significa? Che la decisione di allestire in un modo o in un altro lo spazio scenico dice già quello che voglio dire. Da qui la forza delle scenografie. Uno spazio allestito parla prima di noi. È per questo che nella formazione diamo molta attenzione al setting. Il setting è un misto di disposizione del normale attrezzario formativo (sedie, tavoli, proiezioni, ecc.) e di alcuni simboli che dicono il tema. Ora la prima cosa a cui pensare è la cura dello spazio, la cura si vede da alcuni segnali che diventano però già degli annunci della tua preparazione:
    Se hai allestito diversamente, dici che usi del tuo tempo per i formandi.
    Se hai trovato dei simboli, dici che hai bene in mente ciò che vuoi dire.
    Se metti tutto il materiale a portata di mano, dici che rispetti i formandi evitando perdite di tempo
    Se l’allestimento ha una visione globale finale, annunci una visione sistemica.
    ⇒ Se il tutto è coerente, firmi il tuo stile.
  2. Ciò che non serve eliminalo. La forza delle scenografie, ci viene insegnata anche da quegli spettacoli che tendono a eliminarle, puntando al minimo essenziale. Se non posso dare un senso o anche solo un po’ di bellezza a quello che ho, è meglio eliminarlo, toglierlo dalla vista, perché distrae soltanto. Pensa che in gergo teatrale, i tecnici dicono: “Bonifichiamo!” per eliminare tutto ciò che è stato usato per l’allestimento ma che non c’entra niente con lo spettacolo. Lo dicono, perché ciò che non serve è pericoloso, è esplosivo, è distraente, negativo.
  3. Riempi lo spazio. Tradotto in termini tecnici: “Muoviti!”, non nel senso di sbrigarti, ma in quello di muoverti nello spazio che hai a disposizione. Muoversi nello spazio quando parliamo, richiama l’attenzione, indica che il nostro dire riempie tutta la scena, risveglia le persone perché sembra che noi ci avviciniamo a loro, togliendole dalla loro confort-zone.Anche qui vediamo alcune regole semplici:
    Non ci si muove senza un motivo comunicativo. Meglio allora stare fermi e usare la gestualità nel giusto modo.
    ⇒ Va bene camminare per scaricare l’energia nervosa. Noi dobbiamo muoverci per scaricare l’adrenalina e lo stress in eccesso. Stare fermi pensando che le cose si risolvano da sole è come chiudere la valvola quando la pentola a pressione sta già facendo bollire l’acqua!
    Muoviti per sottolineare alcune frasi. Alcuni verbi evocano un movimento, in quel caso attuarlo aiuta la concentrazione di chi ascolta e ci permette di muoverci per scaricare lo stress.
    Metti nello spazio. Che cosa? Il testo, la storia o almeno parti di loro. A teatro è normale. Nella formazione Robert Dillts l’ha teorizzata nel concetto delle “ancore spaziali”: si tratta di mettere dei contenuti con il nostro corpo, in alcune parti del palco. Per esempio, tutti gli elementi positivi a destra e quelli negativi a sinistra oppure tutto ciò che riguarda il passato a destra e il futuro a sinistra, così chi ti guarda, vedendo al contrario, rivedrà la scrittura da sinistra a destra (ricordati che questo non vale con il mondo arabo che scrive al contrario!). La base delle ancore spaziali è la base della teatralizzazione delle favole: si crea un collegamento inconscio tra lo spazio occupato e il contenuto collegato. La regola è semplice: più è ripetuto in modo coerente, con richiami anche nel tempo, più funziona.

In conclusione

Ora hai alcuni consigli pratici per usare lo spazio come alleato per la formazione. Occorre perciò allenare il linguaggio ambientale, ovvero il linguaggio della cura dello spazio, che è l’unico che si può completamente preparare prima dell’evento formativo stesso. Per farlo ti lascio le domande di valutazione che ho messo nel Manuale, quando ne parlo (p. 84-85)

  • Quanta attenzione metto nell’allestimento dell’ambiente?
  • Che campo semantico generale ho scelto per l’ambientazione?
  • Che immagine ho scelto per il messaggio principale?
  • Quale oggetto/simbolo ho scelto per il messaggio principale?
  • Con quale proiezione accolgo la gente?
  • Quale track list di accoglienza?
  • Dove e come ho collocato i materiali che userò nella formazione?
  • Quale posizione delle persone è più adatta?

Rispondere a queste domande ti permette di scegliere al meglio e di fare eventuali correzioni prima di partire, perché lo spazio parla sempre prima di noi.

GG Cotichella

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APPUNTI DI VIAGGIO 10/22 (dal 7/3 al 13/3)

Lavoro

Quanto è importante il lavoro. Davvero. Certo uno vede subito la fatica, che è il significato in latino, ma quello più antico è invece proprio l’intraprendere, da cui deriva l’impresa. Lavorare è afferrare un obiettivo, è decidersi di ottenere qualcosa, che costa appunto fatica, ma l’obiettivo è un altro. La fatica è il prezzo da pagare per qualcosa che è immensamente di valore, perché con il lavoro io firmo il creato, aggiungo la mia identità al mondo e ancora più in profondità, perché noi siamo lavoro, noi viviamo finché il nostro corpo lavora.

Una settimana quindi all’insegna del lavoro quindi e non solo perché ho lavorato, ma perché il mio lavoro ha avuto a che fare proprio con il lavoro.

Lunedì 07/03 Insuperabili

Continua la bellissima formazione mensile che sto facendo con la dirigenza e le prime linee di questa fantastica associazione. E questa volta abbiamo lavorato proprio sui 4 principi del lavoro: la dignità, l’autorialità, la sollecitudine, la relazione. Ma abbiamo parlato anche del gioco del lavoro e del gioco nel lavoro… e ovviamente abbiamo anche giocato! E spiegare le relazioni con i colleghi con In una scala da 1 a T-Rex di Asmodee Italia è davvero senza prezzo! PS Ho fatto due foto agli Insuperabili… una normale e una mentre fanno un T-Rex… indovinate quale ho scelto?

Martedì 08/03 Scandicci – Oratorio d. Bosco

Doppio incontro dai salesiani di Scandicci!
Ho iniziato il percorso Cateché?, un progetto molto bello che lavorado sui fondamentali saperi del catechista (saper essere, saper fare, saper relazionarsi…) offre uno spunto per crescere in questa bellissima missione. Ci siamo divertiti molto con il gioco della ghigliottina applicato alle età educative. Un gruppo forte con cui faremo un bel percorso.

La sera invece un incontro con gli animatori del centro estivo per parlare di progettazione delle attività estive. Un tema che mi piace molto e che dà dignità e classe al lavoro del volontariato… che so che sembra un controsenso ma non lo è affatto.

 

Domencia 13/03 Saluzzo – Pastorale giovanile (Oratorio d. Bosco)

Una settimana all’insegna di d. Bosco! E ci sta nella settimana del lavoro. Don Bosco ha inventato il contratto di apprendistato e ha dato la vita per la formazione al lavoro dei suoi giovani. Ci trovo un “non so ché” di particolare.
Sarà poi che questo progetto nella diocesi di Saluzzo mi sta piacendo molto: formare 25 persone giovani universitari e lavoratori, per fare insieme la formazione degli animatori dei centri estivi della diocesi, è proprio un bel lavoro. E poi ieri ho sperimentato il consiglio di un amico: alla fine di questa formazione, proiettare il QRCODE del Pagliaio per invitare le persone a entrare in questa community di formazione e materiali! Risultato 25 persone in più che accogliamo con un grande benvenuto… perché grazie a loro arriveranno materiali anche per tutti gli altri… e ormai siamo quasi 750!!

Per questa settimana è tutto. Lavoriamo davvero con impegno e lavoriam con dignità, perché anche così ricostruiremo percorsi di pace.

Buona vita, buon lavoro, buon tutto.

GG

MA GESU’ AVEVA ANSIA DA PRESTAZIONE?

Inizia una nuova rubrica in cui i temi teologici incontrano le domande formative. Un modo per approfondire con un altro sguardo e uscirne arricchiti tutti, al di là di fedi, appartenenze, idee.

L’ANSIA NEL FORMARE E IL CREDERSI DIO

Forse la domanda è un po’ troppo diretta, solo che ultimamente mi è venuta tante volte: Gesù aveva l’ansia da prestazione? Ammetto che c’era parecchia proiezione, ma devo dire che è stata utile per capire meglio che cosa sia l’ansia da prestazione e come abbia risposto lo stile di Gesù.

L’ansia… c’è sempre?

Ogni volta che ci mettiamo in gioco, ogni volta che facciamo un’azione non abitudinaria con un obiettivo da raggiungere, noi ci agitiamo. La prestazione, cioè l’idea che il nostro fare debba confrontarsi con un successo o insuccesso nell’immediato, ci mette in agitazione, ci smuove l’adrenalina e un’altra serie di sostanze endocrine che ci possono far andare su di giri.
Sappiamo tutti che è normale, come sappiamo che che troppo spesso si esagera.
E quand’è che si esagera? Quand’è che abbiamo la vera ansia da prestazione? Vediamo alcune caratteristiche.

  1. Il risultato è correlato al giudizio degli altri. Il vero problema dell’ansia da prestazione è quando la nostra realizzazione, la nostra fiducia in noi stessi, è troppo sbilanciata verso i giudizi esterni. Gli altri ci aiutano a capire chi siamo, ma non possono deciderlo totalmente.
  2. Lo stress non è più “anche” positivo. C’è uno stress positivo che ci fa crescere e migliorare. La confort zone è sempre negativa, mentre lo stress è sia positivo che negativo. Nel caso dell’ansia da prestazione, tutto lo stress è vissuto come negativo.
  3. Lo stress è al di là della prestazione. Ben presto l’ansia da prestazione aumenta la sensazione di panico anche fuori dalle attività stressanti. Fin dall’inizio immaginiamo la nostra giornata catastrofica e questo non fa che peggiorare la situazione.
  4. La prestazione diventa maggiore del processo. Apparentemente innocua, è in realtà la condizione che alimenta l’ansia: se il processo rimane maggiore della prestazione, io posso andare al di là del fallimento, perchè vedo il resto della partita dopo un gol subito, il campionato dopo una sconfitta, il nuovo torneo dopo una retrocessione. Se questo non accade, anche un semplice passaggio sbagliato può fermarmi del tutto.

Gesù invece era libero

La sua libertà era data dall’andare in profondità negli argomenti. Per questo ai farisei può contestare una legge che da 10 comandamenti è arrivata a oltre 600 precetti. Non a caso si dice fariseismo, l’atteggiamento di chi pensa più all’apparenza che non alla sostanza.
Gesù era libero perché aveva chiaro l’obiettivo di vita e lì puntava, pagando anche le conseguenze in termini di crearsi dei nemici.
Tuttavia, era libero anche dal giudizio dei vicini. Quando tutti lo seguono, ha parole dure perché capisce che molti lo seguono per i miracoli che fa (prestazione) e non per i motivi per cui li fa (processo). Non annacqua i suoi ideali quando i primi discepoli se ne vanno perché il linguaggio è duro, ma aggiunge deciso agli apostoli rimasti, «Forse anche voi volete andarvene?» (Gv 6,67). «»

Gesù sapeva stressarsi bene

Per la sua missione non aveva molti momenti liberi. Ne è consapevole, tanto da dire a chi vuole seguirlo: «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58).
Una volta, dopo che gli apostoli erano tornati dalla missione affidatagli, egli ha parola di cura e dice loro di andare in un luogo in disparte a riposare. Il piano sembra perfetto, eppure, come dice Marco, «molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6,33-34).
Si ridona continuamente alla sua missione perché ci crede. Confucio diceva: «Fai quello che ami e non lavorerai neanche un giorno in tutta la tua vita». Gesù, lo applica. Pienamente.

Gesù viveva bene il momento

L’ansia da prestazione può portare a gravi problemi fisici: insonnia, disturbi sessuali, rabbia, fino ad attacchi di panico e veri proprie patologie somatiche. Gesù vive bene le emozioni: si commuove per Lazzaro, gioisce per il successo dei discepoli, si arrabbia molto per i mercanti. E poi vive l’agonia nel Getsemani. È un passo che sorvoliamo. Eppure lì si arriva a dire che «essendo in agonia, egli pregava ancor più intensamente; e il suo sudore diventò come grosse gocce di sangue che cadevano in terra» (Lc 22,44). È un particolare che riporta solo Luca, l’evangelista che la tradizione vuole medico. L’ematoidrosi, questo il termine scientifico, è un fenomeno raro in natura, di cui le spiegazioni sono ancora ignote. Si sa solo che è collegato a un forte evento stressante. Gesù lo vive, possiamo immaginarlo come un attacco di panico fortissimo, inaspettato.
Eppure dopo pochi minuti, Gesù sa rispondere a tono a Giuda, sa fermare la rivolta dei discepoli e guarisce l’orecchio di un servo colpito proprio dai suoi discepoli. Perché non avere l’ansia da prestazione, non significa non vivere la paura, l’agitazione. Significa, invece, non dargli più spazio di quello che deve avere, perché il coraggio non esiste come emozione, come emozione esiste solo la paura. Il coraggio è la decisione della volontà di rispondere alla paura.
Claudio Baglioni cantava: «Tra sparare e sparire scelgo ancora di sperare». Sparare e sparire sono le due opzioni che ci dà l’ansia da prestazione. Scegliere di sperare, è la firma di chi vuole fare la differenza, accettando le emozioni che si vivono, sapendo anche andare più in là.

Gesù vive l’imprevisto nel processo.

Un vecchio adagio, dice che «Gesù lavorò trent’anni, predicò tre anni, compì tutto in tre giorni, soffrì tre ore». Al di là di alcune evidenti limitazioni (Gesù non soffrì solo tre ore!) è vero però che la vita di Gesù sembra proprio un convincersi sempre di più della sua missione, fino ad arrivare a mettersi risolutamente in cammino per andare a Gerusalemme (Lc 9,51). Andare a Gerusalemme, diventa l’obiettivo, il realizzarsi. Oggi diremmo che dobbiamo eliminare ogni distrazione, che ciò che conta è la meta finale.
Gesù opta per un’altra modalità: tutto deve rientrare nel senso ultimo del suo andare a Gerusalemme, perciò nel suo “non perdere tempo”, egli trova il tempo per guarire una paralitica, un idropico, dieci lebbrosi, un cieco, trova il tempo di andare a casa di Marta e Maria, scovare Zaccheo, benedire dei bambini, parlare con un giovane ricco, scacciare i mercanti, pagare le tasse, contestare i sadducei, notare una vedova. Persino in croce trova il tempo di dedicarsi a un farabbutto, suo collega di pena. E avremo così il primo santo patentato. Gesù ha un obiettivo, ha un progetto, ma sa accogliere la vita, che è sempre più grande di ogni progetto umano. Gesù sa vivere il quotidiano nella tensione finale. Perciò ogni contrattempo non è più tale: tutto può essere d’aiuto a costruire il progetto finale.

In conclusione?

Ho iniziato l’articolo puntando sull’ansia del formare e il credersi Dio come formatori. Essendo teologo mi è semplice vedere Gesù come Dio. E mi aiuta molto pensare che se chi è Dio non avuto l’ansia da prestazione pur accettando di essere uomo, allora esiste una strada per tutti noi.
Perché credersi un dio prima o poi fa fare gli errori da ansia da prestazione.
Gesù regala a tutti, cristiani o non cristiani, un vademecum perfetto per vivere bene anche il più grande degli impegni senza ansia da prestazioni

    1. Dare il giusto spazio al giudizio degli altri. Ascoltare cosa dicono gli altri e poi riportarlo in spazi interiori dove mettere insieme il tutto: quello che dicono gli altri, quello che sentiamo, quello che abbiamo deciso e poi via. E poi diciamolo… in un tempo di leoni da tastiera, un bel po’ di commenti vanno eliminati alla base.
    2. Rinnovare lo stress positivo. Come si fa? Per assurdo creandosi delle sfide personali. Partendo da cose leggere, da piccoli obiettivi raggiungibili e migliorabili. Concedendosi il festeggiamento di quelli raggiunti. La celebrazione migliora l’autostima e il darsi piccole sfide ci fa fare cose belle lontano dal giudizio degli altri.
    3. Crearsi delle oasi. Se non stacchiamo mai, prima o poi l’ansia ci assalirà. E dobbiamo staccare non dall’identità ma dalla prestazione proprio per rinnovare l’identità. La natura ci dice che fa parte della prestazione, la non-prestazione. Il lavoro chiede il riposo, la terra coltivata chiede il maggese, la quotidianità la vacanza, la ferialità la festa. Se non le rispettiamo crolliamo.
    4. Lavorare sempre sui processi. Avere sempre obiettivi a effetto immediato, a effetto medio e a effetto lungo. Lavorare su obiettivi-scopi e fini. I primi dicono le sfide misurabili, i secondi dicono lo stile. Lo stile è importante perché quando perdiamo abbiamo sempre un punto da ripartire. Ricominciamo da tre, per citare l’indimenticabile Troisi, perché qualche cosa l’abbiamo imparato.

Gigi Cotichella

APPUNTI DI VIAGGIO 9/22 (dal 28/2 al 6/3)

Accompagnare

E’ un termine a cui tengo tantissimo. E in questo momento in cui la guerra bussa alle nostre porte, ne scopro tutta la forza. Quando smettiamo di accompagnare, la pace smette di esistere. Perché la pace non è assenza di guerra, ma pienezza di vita. E nessuno diventa quello che è veramente senza un aiuto, un appoggio. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro, siamo angeli con un’ala sola, voliamo bene solo insieme.

Accompagnare è diventata la parola che mi segue e che inseguo. Capire come accompagnare, aiutare altri ad accompagnare. Creae strumenti per favorire l’accompagnare. Perché non dobbiamo essere perfetti per accompagnare, perché ognuno di noi è chiamato ad accompagnare qualcuno, anche solo per un pezzo piccolo di strada. Magari proprio per trovare qualcuno che l’accompagni più in là.

E così rivedo l’accompagnare come filigrana di questa settimana.

Lunedì 28/2  Online – Pastorale Giovanile Ivrea
Il corso “Accompagnare” in formato grande estensione mi sta prendendo sempre più. Davvero più andiamo in profondità e più scopro come sia fondamentale lavorare sull’arte di accompagnare. Bello! Anzi il bello è che ci sono ancora altri appuntamenti all’orizzonte. La settimana sull’accompagnare non poteva iniziare meglio.

Mercoledì 2/3 On line – In Cammino TV2000
E ho parlato di Accompagnare anche a TV2000. Nuovamente invitato nella trasmissione “In cammino”, in compagnia di Enrico Selleri e di d. Michele Falabretti, responsabile della Pastorale Giovanile Nazionale, ho parlato di oratori che sanno accompagnare, perché o un oratorio sa accompagnare o non è un oratorio.

Giovedì 3/3 On line – Kids&Legends ITALIA
Continua la Ricerca Formazione in collaborazione con il mondo fantastico di Kids&Legends. 7 Scuole, 18 docenti, oltre 120 allievi delle scuole medie, 2 docenti universitari, 1 formatore, 1 staff creativo, tutti insieme per creare un kit di didattica davvero alternativa!
Un progetto affascinante su 5 regioni che fa sognare una scuola davvero all’avanguardia.

 

 

 

Giovedì 3/3 Pinerolo
Chiudere un corso come #4You con la prima presentazione ufficiale del Manuale dell’imperfetto incontro formativo è  davvero speciale.
Posso dirvelo? Il nuovo format “FORMA CON IL GIUSTO SPRINT” è davvero speciale e dalla prossima settimana comincia il tour. Se vi va scrivete a info@agoformazione.it per avere la serata speciale nella vostra realtà!

 

 

Venerdì 3/3 S. Martino in Rio (RE) – Asmodee
Ritrovare gli amici di Asmodee è sempre una meraviglia. Sarà perché provi giochi nuovi, sarà perché il pranzo insieme è sempre strepitoso, sarà perché Luca, Massimo, Ambra, Ilaria, Simona e tutta la banda sono sempre sei passi avanti, sta di fatto che davvero c’è una magia da quella parti.
Ma questa volta, ragazzi miei, bolla in pentola qualcosa di ancora più grande!!! Aspettate e vedrete!

 

Venerdì 3/3 Pescia (PT) – Pastorale Giovanile di Pescia
Tutte le volte che posso, nei miei viaggi inserisco sempre il conoscere una nuova realtà. Non è solo una strategia di marketing, è ascoltare il territorio per riuscire a capire meglio che cosa proporre. Ogni volta racconto chi sono e che cosa faccio, ma ogni volta mi sorprendo di che cosa dall’incontro nasca. La serata con l’equipe di PG della diocesi di Pescia è stata così. Che meraviglia lasciarsi con l’idea di essersi aiutati a vicenda e con la voglia di camminare insieme.

Sabato 4/3 Borgo a Mozzano (LU) – Federazione Misericordia Toscana.
Ormai lo sapete che con le Misericordie ho un rapporto speciale. Però ricevere il mandato di lavorare sulla formazione dei loro formatori… beh mi onora. E vedendo questa foto capisco anche il mio ruolo: un formatore si vede se prima si vedono i suoi formandi e sullo sfondo il sapere che lancia. Si chiama incontro formativo per questo: far incontrare un sapere (o saper fare o saper essere) con delle persone.

Domenica 5/3 Saluzzo – Pastorale giovanile di Saluzzo
Un altro bel progetto che parte! Lavorare con 20 giovani per creare un team di lavoro diocesano per fare la formazione agli animatori dei centri estivi.
Quando la pastorale sposa il vero protagonismo dei giovani e lo sviluppo dei territori, io mi sento proprio entusiasta per il lavoro che faccio. Domencia prossima, seconda puntata.

 

Per questa settimana è tutto… o forse no. La famiglia di AGO si sta allargando e presto conoscerete delle belle persone con cui ho iniziato a collaborare! Perché quando provi ad accompagnare c’è una verità: anche se inizi da solo e per un po’ da solo ti senti davvero, presto trovi sempre qualcun altro che si sentiva solo come te… Per fortuna aver continuato ha permesso a entrambi di non essere più soli e di migliorare l’arte di accompagnare.

Buona settimana, buon accompagnamento, buon tutto.

…e lavoriamo per la pace!

 

CHE COS’E’ UN TRAINING TOOL?

Giochi da tavolo riadattati, fogli particolari, pezzi artigianali costruiti per uno scopo specifico… un trainingtool è tutto questo e altro. Uno strumento che forma tramite un fare, un allenamento.

GLI STRUMENTI CHE SERVONO A FORMARE

Che cos’è un “training tool”? Letteralmente è uno strumento per l’allenamento o uno strumento formativo.  Training, infatti, indica sia l’allenamento fisico (pensa al personal trainer) sia la formazione a tutto tondo. Quindi un primissimo aspetto fondamentale è che lo strumento favorisce a un fare pratico che serve per allenarsi. Lo strumento perciò “simula” un’azione o una serie di azioni che servono per prepararsi a una prestazione o a migliorare in generale una o più competenza.

La serie di allenamenti specifici che fa uno sportivo, servono per migliorare il proprio fisico in vista di una gara: l’allenamento tra un maratoneta e un bodybuilder è completamente diverso! La differenza è anche nel che cosa si allena: gli esercizi fisici tendono ad allenare uno o più muscoli, la formazione tende ad allenare la consapevolezza, che rimane più colpita perché toccata da un fare, più che da un parlare. Quando noi facciamo infatti, ci rendiamo meglio conto, capiamo meglio come funziona quella pratica.

Tool o format?

Lo strumento all’inizio era fisico (tool vuol dire “attrezzo”), ma oggi nel campo della formazione può indicare anche un pacchetto digitale utile per la formazione online (per farti un’idea vedi qui). Da qui, alcune agenzie chiamano tool anche quello che io preferisco chiamare format, cioè un laboratorio formativo decisamente pratico con un’ambientazione molto riconoscibile e un momento di gioco di ruolo: il gruppo aziendale che deve immaginarsi un equipaggio che gestisce un naufragio, avendo una consegna all’inizio e una missione da compiere.

Una definizione personale e pratica

C’è perciò un po’ di confusione. In questi casi è sempre meglio dichiarare subito che cosa si intende.
Per me “training tool” significa qualcosa di fisico, che è ludiforme e rientra nel campo formativo della facilitazione.

Fisico indica che c’è qualche cosa da toccare. Il tatto è il senso più diffuso, che ci fa partecipare realmente alla vita: quando qualche cosa ci riguarda, ci appassiona, diciamo che “ci tocca”. La fisicità apre poi agli altri sensi: un training tool proprio perché fisico deve essere bello a vedersi. Oggi la grafica, il packaging sono fondamentali e non sono semplicemente un qualcosa in più. Un po’ come l’impiattamento per una cucina: certo che se è immangiabile a ben poco vale l’impiattamento, tuttavia un buon piatto, presentato male perde molto delle sue possibilità.

Ludiforme è un neologismo del pedagogista Aldo Visalberghi, che indica il gioco che si fa lavoro, appasionandoci e rendendoci felici. È applicare la forza del gioco al lavoro, alla ricerca, alla vita tutta. Il ludiforme è la dimensione ludica che supera uno dei suoi pilastri: la gratuità e la libertà di un gioco.

Nel ludico è fondamentale essere liberi, non si può obbligare a giocare. Si deve favorire, promuovere, ma si deve anche rispettare totalmente la persona. Questo è un dilemma che spesso ha creato qualche trauma a dei bambini nelle colonie o nei centri estivi, ma anche ansia da prestazione negli animatori. Un bravo animatore è infatti colui che ci fa venire voglia di giocare, prima ancora che di obbligarci. Questo perché il gioco ha senso solo in sé.
Nel ludiforme il gioco ha senso fuori di sé: è l’apprendimento di qualsiasi tipo di sapere, saper fare o saper essere, che richiede di passare da un gioco per riuscire nel suo scopo. Si gioca, ma fin dall’inizio si sa che è solo una via per un “bene più grande e condiviso”. Quando “giochiamo” con training tool, prendiamo tutto il bello del gioco, ma ci interessa sempre il formarci, l’apprendere.

Facilitazione è il modello formativo per cui tendiamo a far emergere dal gruppo proposte e soluzioni. Utilizza molto strumenti che servono a fare partecipare i singoli in un ambiente sereno e positivo. Per usare la definizione di Pier Luigi Ventura, la facilitazione è l’insieme di “attività che hanno come obiettivo aiutare i gruppi a trovare soluzioni condivise, a condividere le proprie conoscenze, competenze. Il docente diventa: formatore quando ha dei contenuti da trasferire,  facilitatore quando presidia il processo della comunicazione, della condivisione. La facilitazione, in quanto strumento che permette ai gruppi di far emergere le proprie conoscenze, sia quelle dichiarate, che quelle implicite e più nascoste, può essere di valido aiuto nei percorsi di formazione.

La tua cassetta degli attrezzi

A questo punto quello che conta è farsi la propria cassetta degli attrezzi. Si costruisce provando e vedendo quello che si adatta al nostro stile e al nostro metodo. In generale per aiutarci, può essere utile una specie di mappa dei punti dove è bene avere dei training tool.

Strumenti per avviare una discussione. Sicuramente un kit di immagini per collegare un contenuto a una visione. Sono utili per esempio le carte di Dixit o di Dream On, gli Story Cube oppure le foto emozionali di Metalog.

Strumenti per creare una simulazione. Ovviamente qui dipendono molto dal tema. Sulle dinamiche di gruppo è bellissima la Torre del Potere di Metalog, ma sul far crescere un gruppo sulla comunicazione è fondamentale Duplik.

Strumenti per crescere insieme. Qui come al solito, sono costretto a parlarvi di Projectus per la progettazione condivisa. Mentre utile per il problem solving di gruppo è il bellissimo My Party di Forludo. Anche qui ovviamente dipende dalla tematica.

Strumenti per partire e ripartire. Piccoli giochi veloci che però siano legati a qualcosa di fisico: carte, oggetti, ecc. Io li chiamo anche “salva formazione”, sono ideali quando si riprende dopo una pausa o si deve staccare perché l’incontro è stato da troppo tempo frontale.

Come vedete tanti e diversi strumenti. Il bello è che puoi costruirlo anche tu un training tool, ma questo lo vedremo nella prossima puntata.

Gigi Cotichella

 

Photo by Metalog.

 

 

APPUNTI DI VIAGGIO 8/22 (dal 21/2 al 27/2)

Sinodo

Benché sia di “gergo ecclesiale”, sinodo è una parola che riguarda la forza di ogni gruppo, di ogni ente umano. Sinodo significa letteralmente “camminare insieme” e se il sinodo è un evento per farlo meglio (o per ricucire dopo uno strappo, un problema divisivo), la sinodalità è l’essenza stessa della Chiesa, ma in realtà anche di ogni gruppo di lavoro.

O si cammina insieme o non si va avanti per molto. Ed è così anche per chi forma e chi da consulenze: bisogna camminare insieme. Spesso chi fa il mio mestiere ha tutte le risposte, ma se queste non vengono assimilate dal gruppo, sono risposte tanto vere quanto inutili. Per me è sempre stato così: la verità più che assoluta o relativa, è relazionale.

Quindi ogni mia settimana deve essere sinodale. Devo camminare insieme con i singoli che seguo, devo camminare insieme con gli enti che seguo, devo creare ponti con chi mi scrive. Sinodali che è addirittura più profondo di essere solidali.

Tuttavia, questa settimana è stata ancora più sinodale del solito.

Martedì 22/2  Piobesi Torinese
Ho concluso il percorso di Progettazione pastorale con Projectus presso la parrocchia di Piobesi Torinese. Ho chiesto alla fine la cosa che era rimasta di più di questo percorso, e oltre il fatto di aver capito meglio cosa c’è in gioco con la progettazione, molti hanno sottolineato il bello di aver costruito qualcosa insieme, partecipando tutti e ascoltandosi tutti (perché questa è la forza di Projectus). Il bello comunque è stato il loro regalo finale: una bellissima composizione di primule e …uno stock di post-it! Come a dire: “Gigi, continua con Projectus, ne vale la pena!”.

Giovedì 24/2 On line
Grazie a Effatà e Intergentes, ho presentato Projectus online per mostrare come la progettazione condivisa possa essere un autentico strumento sinodale. Bellissime le domande emerse: “Va bene per un gruppo di catechisti” (Si!); “Ma va bene anche in comunità che sono ancorate al passato, al si è fatto sempre COSÌ?” (Certo, è fatto apposta per quello!); “Emergono dinamiche che chi non è esperto in facilitazione di gruppi è in grado di gestire? (Projectus aiuta proprio a facilitare, poi ovviamente la facilitazione è un’arte che va appresa studiando, ma che applicando continuamente); “Se lo propone il paroco..ci stanno “gli altri”?” (se il parroco si prepara, sì ;). 

Venerdì 25/2 On line
PNRR e dintorni. Un gruppo trasversale di professionisti a tutti i livelli: economico, management, sociale, formativo. Un’esperienza fantastica di multiprofessionalità. Un obiettivo di sviluppo sostenibile: far usare al meglio le risorse del PNRR a quante più imprese possibili, sia del profit che del no profit. Prossime notizie in arrivo.

Venerdì 25/2 Corato (BA)
Percorso Rigenerazione. Ho presentato nella versione definitiva i due strumenti per il Sinodo delle Misericordie: uno per gruppi numerosi, che riprende un po’ lo stile Metaplan e uno che riprende l’uso delle carte come strumento di gruppo. Posso dirvi una cosa? Sono particolarmente fiero delle scelte fatte.

Sabato 26/2 Corato (BA)
Una mattinata passata con gli aspiranti formatori delle Misericordia della Puglia. Due moduli: la comunicazione esterna, interna e integrata per un formatore e la comunicazione efficace nei gruppi formativi. Il tutto condito con giochi (Duplik funziona sempre!) e test di autovalutazione (bellissimo il nuovo sui 7 assiomi della comunicazione formativa in un gruppo).

Sabato 26/2 Bari
Pastorale Giovanile Bari. Preparare un evento con l’equipe di PG di Bari è sempre una bellissima avventura. Il 2 aprile faremo un mega laboratorio per 200 giovani che si occupano di giovanissimi e ragazzi. Faremo momenti d’insieme e laboratori a gruppi (tenuti dai giovani dell’equipe, givoani AC e giovani Scout). Il tema? Che cosa dice la Parola sulla formazione e sulla pastorale giovanile. Tutto partirà dall’icona qui di fianco.

Una settimana ricca, ma ovviamente piena di tante domande. Chi mi conosce sa come viva la situazione in Ucraina. Per ogni sorriso c’è un’ombra… non solo perché potrebbe arrivare qui, perché chissà cosa potrebbe succedere… ma perché sta già succedendo lì, perché continua a succedere da altre parti del mondo e dobbiamo smettere di fregarcene. Per me lavorare sul miglioramento delle persone, sul far crescere i gruppi, sul formare e sostenere chi si occupa di altri è lavorare per la pace. Che non è mai assenza di guerrra ma pienezza di vita.

Buona settimana, buona pace come pienezza di vita, buon tutto.

APPUNTI DI VIAGGIO 7/22 (dal 21/2 al 27/2)

Progettare

Da due anni è un termine che fa parte di me. Ovviamente, è legato all’esperienza di Projectus. Ma Projectus è nato sul campo, non a tavolino. È nato da un’esperienza sul campo: una formazione per quella banda di persone belle che è la realtà di Siderformazione. Funzionò così tanto che decisi che doveva diventare un training tools. Partì la ricerca, l’approfondimento, il test nelle diverse realtà. E ogni volta la realtà che ti supera e ti chiede di cambiare i progetti.
Così viene da chiederti “Ma perché progettiamo?”. Perché progettare è dare una risposta con un impegno di lavoro. Si scrive perché un contratto dove tu, raccontando i tuoi sogni (finalità) e i tuoi obiettivi, ti prendi l’impegno di raggiungerli, mostrando realmente i risultati, spiegando eventuali cambiamenti. Lo firmi perché ci metti la faccia.

Progettare e progettare insieme, perché la progettazione condivisa è il futuro, per le aziende come per la pastorale (cfr SINODO!).

Ecco allora che la settimana passata e questa che si apre porta due segni del progettare.

A Piobesi Torinese sto ultimando il percorso di PROGETTAZIONE PASTORALE CONDIVISA. Lo sto facendo con il gruppo di adulti e universitari che manda avanti l’oratorio. Lo facciamo con Projectus ed è veramente bello. Bello per quello che esce, bello per i rimandi:

  • Non ci eravamo mai soffermati ad ascoltare che cosa pensa ciascuno di noi. Il bello di Projectus è proprio quello di obbligare tutti a intervenire.
  • Ma se progettiamo tutto, che cos’è allora l’imprevisto? L’imprevisto è la voce di Dio che ti ricorda che ogni uomo, ogni vita è più grande dei nostri progetti. Perché progettiamo per rispondere alla vita e gl iimprevisti ci ricordano il volto della vita. Perché se arriva un imprevisto, possono saltare i programmi, ma non i progetti. I progetti dicono i “perché” e i perché reggono agli imprevisti, anzi si evolvono di fronte agli imprevisti.
  • Adesso, almeno, sappiamo dove puntare. Perché Projectus forma alla progettazione e lo fa formando il gruppo insieme.

Ma c’è anche un appuntamento per tutti sulla progettazione pastorale. Giovedì 24 con Effatà Editrice e il loro progetto Intergentes, parleremo di come la progettazione condivisa sia uno strumento per attivare processi sinodali!
Sarà una presentazione molto dinamica con Projectus! Perciò segnatevi la data e iscrivetevi a questo link… è  GRATIS!

Per ora è tutto! Ci leggiamo lunedì prossimo!

Buona settimana, buoni progetti, buon tutto.

 

Gigi Cotichella