…PERCHÉ LA VITA SI AFFRONTA COSÌ
Una tazzina mignon per ricordarci che la vita e l’amore vanno vissuti… a piccoli sorsi. Perché niente è piccolo, se ciò che fai è per amore.
«A piccoli sorsi».
Lei abbassò la tazzina e lo guardò con guance accese che sottolineavano la sua purezza, il suo pudore e uno sguardo dolce e fiero allo stesso tempo.
«A piccoli sorsi» ripetè, mentre il volto ritrovava il suo colore e un sorriso si apriva al suo sguardo deluso. Lui così bello e in gamba. Ma anche così irruente nelle possibilità, nei progetti e nell’approccio fisico, per ciò che il tempo in cui vivevano permetteva.
Quella frase senza sorriso sarebbe stato un aspettare senza vedere il fiore che portava il frutto. Ma il sorriso di lei lenì l’insoddisfazione dell’immediatezza delusa e gli regalo la stabilità di un sogno.
«A piccoli sorsi» diceva ridendo, con la pancia che cresceva mentre lo guardava bere avido una bottiglia d’acqua fresca. Il petto imperlato di sudore, i muscoli stanchi di spostare pietre per costruire la scala e le nuove stanze per accogliere il loro primo figlio. Non le era mai sembrato così bello anche se, notando l’acqua che gli scendeva dalla bocca per la foga del bere, pensava sorridendo che presto avrebbe dovuto guardare due bambini.
«A piccoli sorsi». Il tono voleva essere severo ma era tradito da quel sorriso tutto particolare che una mamma ha. Il primo sorso di latte non dal seno, lo svezzamento, cominciare a nutrirsi del mondo e ovviamente non saperlo ancora fare. E lei che continuava a ripetergli come una nenia: «A piccoli sorsi».
«E adesso cosa facciamo?». La voce era spenta e lo sguardo basso: la gioia di essere tornato da una guerra assurda, segnato ma vivo, era finita in fretta di fronte a quelle macerie.
«Ricominciamo. Non sarà come bere un bicchier d’acqua, ma ce la faremo. Farò come ho fatto mentre ti aspettavo e non sapevo niente di te: un passo alla volta, un giorno alla volta, piano piano… a piccoli sorsi».
Il sole scendeva all’orizzonte. Lui le stringeva la mano piena di rughe e un po’ deformata dall’artrite, lei gli accarezzava le dita e i palmi e sfiorando i calli rivedeva il lavoro di una vita, la loro storia.
Ormai erano davvero un cuore solo e un’anima sola. Insieme, contemporaneamente, stavano pensando ai loro quattro figli, ai nipoti, alla vita che li aveva sempre sorpresi con i suoi continui saliscendi, alla loro vecchiaia che li vedeva acciaccati ma felici, con ancora qualche desiderio e progetto da realizzare.
Lui si girò in un misto di nostalgia e gratitudine: «Come ce l’abbiamo fatta?».
Lei sorridendo con un vago ricordo di rossore sulle guance, rispose solo: «A piccoli sorsi».
Dedicata ai miei nonni, ai miei zii e alle loro storie fatte di tanti piccoli sorsi, molti dei quali dedicati a me.
La tazzina mignon viene da una casa di uno di loro.
Dentro ce li ho messi tutti, perché un sorso di vita e un sorso d’amore può contenere molto di più di quel che si creda.
Gigi Cotichella
Foto di Elisabetta Pia