In questo articolo Emanuele Bortolazzi ci guida alla scoperta della speranza e ci introduce gli ingredienti principali che saranno centrali durante l’anno giubilare.
Spes non confundit
Ho passato circa 20 minuti a cercare di spiegare ai miei studenti del professionale che cosa sia la Speranza. Sto provando ad impostare tutto l’anno sui contenuti della bolla di indizione del giubileo Spes non confundit di Papa Francesco. Un percorso per cercare di far vivere e rivivere la Speranza o meglio per “rianimare la speranza” (cfr. 1) che è viva dentro il cuore delle persone.
Rianimare
“Rianimare” forse è il compito di ogni lunedì mattina in classe alla prima ora di IRC (Insegnamento della Religione Cattolica), anzi forse il vero lavoro di un insegnante ogni prima ora della giornata. Si tratta spesso di una sala di rianimazione, il tentativo di ridare vita, tornare a far scorrere sangue sulle gote emozionando per qualcosa di bello quando di meraviglia ormai non se ne vede più tanta in giro. È il tentativo da sala operatoria di ascoltare un battito, per quanto flebile, di un adolescente spento e quasi inibito dentro ad una glaciazione epocale dei sentimenti.
Non si tratta solo di rianimare la speranza, ma ogni ora di IRC diventa la speranza di rianimare, ridare cioè un’anima, a chi pensa di averla perduta dentro vestiti troppo larghi cuciti addosso ad un’adolescenza spesso troppo stretta. La speranza di ridare un’anima a corpi nel fiorire della loro primavera, spesso, tanto spesso, già trafitti da gelate improvvise.
A rianimare la speranza ci provo in tutte le prime ore, e anche nelle altre per la verità. Ma lunedì mattina mi sono preparato un lungo discorso su giubileo e sulla speranza proprio per iniziare un percorso sul questo grande evento che attraversa la chiesa.
E dopo circa 20 minuti sul significato più profondo teologico ed antropologico della speranza mi sono fermato e ho chiesto nel modo più diretto possibile “ma voi che cosa sperate?”.
Nel silenzio generale e in questo caso quasi imbarazzante, mi è presa la paura che questi ragazzi che avevo davanti, questa generazione, fosse davvero, come dicono in molti, persa e senza speranza. Mi sono emozionato quando dal fondo della classe Omar ha interrotto il silenzio generale con un “spero solo d’esser promosso prof!”.
Fraintendimenti di speranza
Un po’ mi sono sentito trafitto in tutti i miei grandi ideali di cambiare il mondo. Vedo già tutte le agende internazionali, tutti i progetti di sostenibilità, tutte le più grandi ambizioni della frontiera dell’intelligenza artificiale frantumarsi davanti alle verifiche del lunedì mattina. Che cosa spera un ragazzo? Credo che la speranza spesso, molto spesso, subisca tragici fraintendimenti o attese che talvolta si traducono in frustrazioni o delusioni. Se la speranza cristiana per eccellenza è quella di incontrare, nella vita eterna, l’amorevolezza paterna-materna dell’abbraccio di Dio infinito, e ben raffigurato nei 12 metri dell’abside di Monreale, per un adolescente (e non solo per loro) le speranze sono, all’apparenza, molto più quotidiane.
In questa attività in classe sono travolto dalla raccolta delle speranze dei miei studenti che passano con grande convinzione a chiedere per il loro futuro più prossimo la promozione, i soldi, la tipa/o. La prima impressione è proprio quella di essere al primo gradino della piramide di Maslow. È come se ci fosse una confusione tra bisogni e sogni, necessità guidate dalla paura di non farcela e desideri che nutrono a sazietà anche i momenti più grigi. Promozione-soldi (tanti) e fidanzata/o sono al vertice della classifica.
False speranze o bisogni nascosti?
Quanto ci ferisce, come adulti, questa priorità di valori negli adolescenti? Ne restiamo silenziosamente offesi o apertamente sdegnati perché sentiamo che ciò che esprimono sono bisogni, non sono speranze, non sono sogni, sono il tentativo di riempire dei vuoti. Il giudizio è lì a fior di pelle, offerto su un piatto d’argento.
Eppure forse è proprio dietro, sotto, dentro queste speranze “terra terra” che si nascondono profondissime attese per la vita. In fondo è come se si svelasse la speranza di incontrare qualcuno capace di accogliere, dare stabilità e di riempire la fame d’amore che abita il cuore umano. Dietro il desiderio di essere ricchi si nasconde la speranza di essere accettati e accolti da qualcuno, di essere visti. C’è una ricerca sopita che si ferma forse al primo indizio della caccia al tesoro, ma che in realtà è l’occasione per prendere consapevolezza di quella speranza che non muore, che si compie proprio in quell’abbraccio al di la di ogni singola e quotidiana sconfitta o vittoria.
Riaccendere la speranza
Nella Bolla giubilare Papa Francesco esorta a riaccendere la speranza. Insiste più volte sulla parola riaccendere, prima che il buio della cenere avvolga ogni desiderio. Ho scoperto recentemente la parola “cinigia”. È un termine italiano particolare che indica il sottilissimo strato di cenere che si posa sulla brace incandescente. Questa polverina grigia ha il potere di custodire il calore, ma anche il tragico mandato di spegnere progressivamente l’ardore del tizzone.
Credo che sulla speranza degli adolescenti, ma anche su quella degli adulti, si sia posato uno strato di cinigia capace di spegnere il fuoco. Serve il coraggio di chi soffia sulla brace e, spostando l’apparenza di banalità, ridona vita a quanto sembra morto. Serve il coraggio di andare in profondità anche nel materialismo, apparente o ostentato che sia, che il quotidiano impone per riscoprire proprio lì, sotto la polvere di una banalissima cinigia, la brace ardente che arde nel cuore umano.