EDUCARSI ED EDUCARE ALLA COMUNICAZIONE

Le parole possono far crescere o distruggere. Sceglierle con cura e attenzione è un imperativo educativo. Una comunicazione attenta all’altro favorisce lo sviluppo armonioso della persona, soprattutto quando si è in fase di crescita.

Comunicare con i bambini perché capiscano. Non solo con le parole

Possibile che sbagli sempre?

Vergognati per quel che hai fatto!

Espressioni di disapprovazione, rifiuto e svalutazione comportano nel bambino lo sviluppo di credenze di base su sé stesso che possono riguardare la convinzione di incapacità personale, bassa autostima, propensione ad attribuzioni di colpa e disorientamento personale con attitudine a costruirsi un’identità e stima di sé sulla base dell’opinione altrui.

Il retaggio educativo

Purtroppo sono tante le cose che diciamo ai bambini per abitudine, ma che non “funzionano”. Riconoscere le brutte abitudini è il punto di partenza per il cambiamento.

– “guarda come si divertono i tuoi amici, dai vai anche tu” , il desiderio di partecipare a un’attività non può essere inoculato;

 “calmati”, un bambino non è in grado di farlo, l’abilità di autoconsolazione si sviluppa infatti con il tempo e attraverso l’interazione con l’adulto;

– “non piangere, ti guardano tutti”, introdurre vergogna per ciò che si prova aumenta il senso di inadeguatezza;

– “stai fermo, guarda come è bravo quel bambino” l’apprendimento non avviene per competizione.

Questi sono solo alcuni degli esempi possibili, ma che molto più sovente di quanto possiamo immaginare fanno parte del delicato periodo di crescita di tanti. Non ci diamo peso e spesso sono frasi riportate “solo” per abitudine, senza rifletterci, senza considerarne il possibile effetto, ma le parole, tutte le parole, hanno una sostanza, un significato e un valore.

L’importanza educativa delle azioni

L’educazione, però, non avviene solo attraverso la comunicazione verbale e non si tratta solo del rispetto delle regole: inizia molto prima dello sviluppo del linguaggio e della capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni.
Il gioco, il confronto, la vicinanza, il contatto emotivo e l’esempio sono solo alcuni degli strumenti educativi per un bambino o addirittura per un neonato.

Il legame di attaccamento

In forma molto più complessa, anche negli esseri umani si assiste al fenomeno dell’imprinting. E’ fondamentale per la sopravvivenza e la crescita dei bambini e in base al tipo di cure e alla risposta ai propri bisogni da parte delle figure di riferimento, sviluppano fin da subito un legame di attaccamento. A differenza di quel che accade negli animali, per l’uomo questo processo è reversibile e modificabile nel tempo, ma è in base alle relazioni primarie con i nostri genitori che noi sviluppiamo un certo modello di relazione che, volenti o nolenti, influenza il nostro modo di interagire, almeno in principio, con gli altri ed è in base a esso che sappiamo cosa aspettarci in termini di amore, accudimento, senso di sicurezza e protezione da parte del mondo.

Dalla teoria alla pratica

Ma ad esempio… quando il bambino piange, che si fa?
Il pianto è l’unico linguaggio possibile per un bebè e ignorare la voce del proprio bambino può portare ad alzare notevolmente il suo livello di stress e far crescere dentro di lui la convinzione di non avere nessuno su cui poter contare.
Un piccolo di pochi mesi è infatti in tutto e per tutto dipendente dai propri genitori e l’unico modo che ha per comunicare qualcosa è il pianto, attraverso il quale esprime fame, disagio o semplicemente bisogno di coccole e calore.
Le teorie sul “cosa fare” o il “cosa non fare” si sprecano tra libri, articoli e web, ma i suggerimenti sono essenzialmente 5 e sono forse banali, ma purtroppo non scontati.

  1. Aiutalo: usiamo questa parola perché si, per loro è una richiesta di emergenza “vieni ad aiutarmi”, “ho bisogno di te”. Guarda la storia d’amore e assecondalo;
  1. Mantieni la calma: stress e angoscia vengono trasmessi al bambino rendendo molto più difficile calmarlo;
  1. Parlagli: pronuncia parole con accenti caldi, accompagnati da gesti d’amore, questo contatto consente al bambino di conoscerti molto di più e la comunicazione non può che esserne rafforzata.
  1. Non lasciarlo piangere a lungo: la vicinanza costante è importante e soprattutto nei primi mesi;
  1. Identifica i bisogni: conoscere ciò che ti chiedono è essenziale per gestire efficacemente l’assistenza nell’infanzia.

La responsabilità della vicinanza educativa

Gli adulti hanno la responsabilità di offrire vicinanza, tenerezza e affetto, di insegnare un linguaggio, di educare alla comprensione delle emozioni, al rispetto delle regole e alla giusta sensibilità, ma comunicare chiaramente con i propri figli non è sempre facile.
Imparare ad esempio a distinguere tra affettività ed intimità è un processo che inizia in tenera età, perché è allora che si viene educati implicitamente ad una comunicazione e ad un linguaggio dalle figure di riferimento, ma allora qual è il giusto “limite” della “coccola” quando si è “piccoli”? esiste?

Un tema scottante

Facciamo un esempio di grande dibattito pubblico: è giusto baciare sulla bocca i propri figli, fino a quale età è bene farlo? 10? 7? 3 anni?
E quando si interrompe questo “rituale”, questa abitudine, come lo si giustifica al bambino? “Ora i baci ce li diamo sulla guancia perché sei diventata grande”? Quindi se ne deduce che i baci sulla bocca siano solo uno scambio per i bambini. “E mamma e papà? Gli innamorati? Perché loro si e io no?”  O peggio ancora, senza una spiegazione: “perché adesso papà e mamma non mi baciano più”?
Il contatto dei genitori è il primo insegnamento sui confini dell’altro, sui limiti e sugli spazi e tutti i cambiamenti, in qualsiasi periodo della vita, pretendono una spiegazione, dunque a maggior ragione è necessario esplicitarli quando si è bambini, quando non si è ancora in grado di dare a sé stessi le risposte e i “perché” che mancano alla nostra vita.

In conclusione

Dunque un comportamento qualsiasi, se viene messo in pratica, deve avere un perché, se viene modificato deve poter essere spiegato e a tutte le domande deve conseguire una risposta: semplice ma chiara e sincera.
Perché i bambini apprendono e comprendono: quello che diciamo, sentiamo o agiamo.
Perché i bambini hanno bisogno di affetto, esempio e chiarezza.

 

Elisabetta Pia Gedda

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