Il corpo è fondamentale quando formiamo perché rende presenti: rende presente, come dono e come responsabilità, sia il formatore che i formandi. Dal teatro qualche consiglio per formare meglio.
Formare con il corpo, formare nel corpo
Noi non abbiamo un corpo, siamo un corpo. Per questo il corpo occupa molto dei nostri pensieri, perché è nel corpo e con il corpo che ci incontriamo, che ci innamoriamo, che camminiamo insieme. Questo è vero anche per la formazione. Non possiamo formare che non attraverso il nostro corpo. Questo dato non va sottovalutato, per questo chiediamo al teatro qualche consiglio per vivere al meglio il nostro corpo di formatori.
Il corpo e il teatro
Il teatro nasce con il corpo. Per tre motivi. Il primo è legato all’identità del teatro stesso. Esiste un legame che forma una triade tra gioco, rito e teatro. I primi due nascono da un “fare simbolico” che ovviamente evocano la parola, ma la evocano, la “chiamano fuori”, proprio da questo agire simbolico. È per questo che la narrazione intorno al fuoco, la mamma che legge una favola, i reading, i monologhi, tutti incentrati sulla parola, chiedono di vivere sempre il corpo, la fisicità.
Il secondo è legato al primo assioma della comunicazione della Scuola di Palo Alto: “Non si può non comunicare“. Questo ci dice che l’assenza di gesti, movimenti e posture è comunque un messaggio, perciò o è voluto o è bene vivere il corpo per confermare quello che la voce ci dice.
Il terzo è forse banale, ma la voce dipende dal corpo. Per questo Grotowsky lavorava primariamente sul corpo e poi sulla voce, perché senza un’adeguata preparazione fisica, la nostra voce non è all’altezza di quello che si comunica. Lo sanno bene attori e cantanti, quanto lavoro fisico che devono fare su voce, diaframma, muscoli del collo e del volto.
Inoltre il corpo parla un meta-testo che è più forte, che arriva prima, perché tocca il cervello limbico come il paraverbale (cioè i suoni e i toni usati nel parlare) mentre il testo delle parole deve toccare, oltre che il limbico anche la neo-corteccia, cioè la parte del cervello legata al senso. Per questo è possibile che la voce tradisca il corpo, tradisca l’aspettativa, spesso a sfavore. Questo è il vero motivo per cui il linguaggio non verbale è più forte di quello verbale, al di là delle solite percentuali 55% Non verbale – 38% Paraverbale, attribuite in modo inappropriato da una lettura erronea dell’esperimento di Albert Mehrabian.
Il corpo del formatore
Il formatore vive il corpo come l’attore a teatro, ovviamente con le dovute analogie. Il corpo deve dire ciò che vogliamo dire, il sapere della formazione che vogliamo sapere. Certo l’attore per farlo vive un personaggio, mentre il formatore deve dire se stesso. Il personaggio può essere infatti il “totalmente altro”, ma il formatore deve portare in scena se stesso, il suo stile, il suo ideale, il suo metodo. Come può aiutarci il teatro che è finzione? Come diceva il grande Gigi Proietti, il teatro è finzione, ma non falsità. È inutile girarci intorno, a volte non siamo in forma, non abbiamo voglia, il nostro essere è semplice altrove rispetto a metodo, stile, ideali. Qui ci aiuta il teatro. Portiamo in scena altro da ciò che stiamo vivendo. Ma non è falsità, è finzione, perché noi crediamo in quello che portiamo in scena! E per rendere vivo quello in cui crediamo passiamo dal corpo, che muovendosi produce endorfine e adrenalina, creando così la convizione più vera.
Il corpo dei formandi
Anche i formandi hanno un corpo. Ecco che allora metterlo in azione aiuta la formazione. Non si tratta semplicemente di renderli protagonisti, ma di renderli protagonisti facendo fare, facendo vivere la loro fisicità. Oltre a rompere gli schemi e dare quel tocco di varietà che non guasta, far utilizzare la fisicità significa imprimere il sapere che vogliamo comunicare. È uno dei principi dell’andragogia: se la formazione è esperienziale, è più efficace. La prima esperienza passa proprio dal vivere il corpo. Il limite della lezione frontale è la staticità e la passività, che però chiedono grandi energie per “stare attenti”, per “non perdere niente”.
Corpo a corpo nella formazione
Alla fine l’incontro nella formazione è un incontro di corpi, perché i nostri saperi sono saperi incarnati. Se ci pensi bene, quando ti piace un autore di un libro, vorresti poterlo incontrare, parlarci di persona, magari a un aperitivo o a una cena. Questo significa che la fisicità nella formazione, anche in quella online è fondamentale. Come possiamo viverla al meglio? Con tre passi a spirale, che ci fanno avvicinare sempre di più all’altro.
- Guarda bene. Il contatto visivo, fa parte del linguaggio non verbale. Guardare le persone è giusto, guardarle in modo che si accorgano di essere guardate, è essenziale.
- Restituisci quello che ti viene dato. La restituzione è un grande potenziale dell’educazione, ma lo è anche della comunicazione formativa. Far capire a qualcuno che l’abbiamo notato, dando dei rimandi reali, è il primo passaggio per creare un contatto
- Approssimati. La prossemica è la scienza che studia le distanza tra le persone dal punto di vista comunicativo. Pone 4 distanze: pubblica, sociale, personale, intima. Quella del formatore di un gruppo è quella sociale (tra 1 e 5 m). Tuttavia, quella di un formatore “uno a uno” è sicuramente quella personale (tra 120 cm e 45 cm). Ci sono alcuni momenti poi che sono “intimi” (tra 45cm e 0 cm): la stretta di mano o un abbraccio per un particolare risultato raggiunto, il controllo di un progetto allo schermo, la collaborazione su un testo, una domanda alla fine di in un incontro, un momento conviviale… o anche semplicemente un avvicinarsi alla postazione del formando durante l’incontro. L’arte di approssimarsi è appunto un arte e quindi è un misto di studio e di prove, di teorie e intuizioni. Quello che è certo è che se è vero che invadere gli spazi in modo esagerato e non preparato è sbagliato, lo è altrettanto rimanere a debita distanza.
In conclusione si tratta di partire dalla fisicità più distaccata eppure così forte da creare ponti, come il contatto visivo. Si tratta poi di passare a una restituzione diretta di ciò che si è visto. In questo modo le due parti saranno pronti a entrare in un contatto più profondo. Un contatto di cui il formatore dovrà esserne sempre responsabile, custodendolo in modo irreprensibile, pena il crollo del patto formativo stesso. Un rischio da correre, perché se nessun sapere passa senza una relazione, una relazione è tanto più vera, quanto è vero il suo grado di incarnazione.
GG Cotichella