Mettersi in ascolto del grido muto degli adolescenti sembra essere la sfida odierna. Genitori, educatori, docenti paiono sprovvisti dell’alfabeto emotivo per riuscire a tradurre ciò che celano nel profondo.
Adolescenza difficile o crisi genitoriale e/o educativa? Da che parte volgere lo sguardo?
Che cosa stanno urlando?
Occupandomi di progettazione partecipata, ritengo sempre importante capire le diverse voci di chi vive, direttamente o indirettamente, un problema. Ecco, quindi, che mi ritrovo a dialogare con amministratori, educatori, adolescenti, parroci, insegnanti. Mi dirigo dove nascono i problemi, li vado a cercare, annuso un territorio, connetto reti per cercare risposte.
Un’occasione di confronto
Quel mercoledì stavo semplicemente aiutando una collega con la sua tesi.
Nel nostro confronto è emerso che nel mio paesello, un piccolo comune di 7.000 abitanti, continuavano a verificarsi situazioni sempre più allarmanti a carico di adolescenti. Si tratta di ragazzi che, se da una parte frequentano assiduamente ambienti di fede, dall’altra subiscono una trasformazione sul fare della notte, commettendo infrazioni in negozi, rubacchiando, incendiando sedie fuori dai locali.
Mi dico: “Saranno i soliti quattro”. Anche se con il passare dei giorni pare che gli atti vandalici non si fermino. La mia collega ripete “Sono e siamo in cortocircuito. Non capiamo cosa ci stanno chiedendo, cosa stanno urlando”.
Grido forte o orecchie tappate?
Nelle due settimane successive ho partecipato ad incontri in altri territori: comune differente, uguali problematiche. Quanto forte è quindi questo urlo? Non lo sentiamo?
Eppure, pensando al sistema, quante persone sono presenti vicino a questi ragazzi? Normalmente c’è una famiglia, i coetanei, gli insegnanti, in alcuni casi gli educatori, i parroci, gli allenatori, per non parlare degli specialisti.
È una vita affollata di relazioni. Fin dall’infanzia.
Tante persone che sono abituate ad ascoltare ma senza sentire profondamente qual è la richiesta.
Parole d’esperto
Ho cominciato a fare qualche ricerca per capire meglio il fenomeno e mi sono ritrovata tra le mani alcune interviste dello Psicologo e Psicoterapeuta Lancini fatte per il lancio del suo ultimo libro “Sii te stesso a modo mio” ed una frase, più di altre, mi ha fatto riflettere:
“Si cresce in una società dove tristezza, rabbia e sentimenti disturbanti non si riescono ad ascoltare: la famiglia oggi ascolta i figli molto di più di quanto fossi ascoltato io, il problema è se è in grado di comprendere quanto hanno da dire i figli. Spesso il genitore vive come un affronto ogni fallimento, ogni inciampo, con la tipica frase “con tutto quello che ho fatto per te…“. Bisogna avere il coraggio di fare domande scomode e amare i figli per quello che sono. Per farlo bisogna essere saldi. La nostra fragilità impedisce ai ragazzi l’espressione di sé”.
Lancini descrive una società post-narcisista in cui gli adulti significativi spesso scompaiono, per lasciare il posto ad adulti fragili che non garantiscono un confronto supportivo per l’auto determinazione degli adolescenti.
Questi adolescenti, fin troppo occupati a tenere a bada gli adulti di riferimento, tal volta dissociati che iper-idealizzano anziché cercare di capire loro stessi, si ritrovano confusi ed in corto circuito poiché non riescono più a definire una loro propria identità.
Come si esplicita questo grido?
Questo grido d’aiuto si materializza in azioni vandaliche e di rottura rispetto al silenzio e all’addormentamento della comunità. Questi sono atti sono manifestazione di profonda tristezza, potremmo definirli pillole antidolorifiche.
Continua Lancini: “questo senso di inadeguatezza, molti lo mettono in pratica attaccando se stessi, si pensi ai suicidi o ai crescenti disturbi alimentari o alle forme di ritiro sociale. Mentre altri, per caratteristiche di personalità, lo fanno cercando di mettere insieme atti di violenza verso gli altri, quasi sempre una violenza che è una ricerca di visibilità. Se guardiamo agli ultimi fatti di cronaca c’è sempre presente un cellulare. Abbiamo costruito una società nella quale se attraversi momenti in cui senti di non aver valore, o successo, o hai la sensazione di non far parte di un contesto sociale cerchi di farlo in maniera clamorosa, riprendendoti”.
Ci sono soluzioni?
Continuo a chiedermelo. Continuo a verificare se, da qualche parte nel mondo, ci sono esempi riusciti.
Poi mi chiedo se non sia necessario guardarsi allo specchio e chiederci se non è il caso di tornare ad essere adulti presenti in coscienza.
Persone che cominciano a comprendere il dizionario emotivo, talvolta sconosciuto, che ci permette di STARE con questi ragazzi. Questi adolescenti stanno lavorando sul loro divenire e hanno bisogno di adulti capaci di ascoltarli. Gli adulti di oggi sono chiamati a superare le loro fragilità per ricostruire la dimensione di futuro, un domani che deve essere costruito adesso nelle pieghe di una quotidianità difficile e faticosa, ma sempre possibile.