L’ARTE DELL’ATTESA

L’attesa ha un suo ritmo, scandito dalle aspettative, dai desideri e dalle speranze più recondite. L’attesa di questo Natale porta con sé un messaggio per tutti, grandi e piccini, mettiamoci in ascolto!

Ri-nascere a nuova vita

Questo è il periodo dell’anno che preferisco. Dicembre per me sono le luci accese che illuminano la notte e la impreziosiscono, i pacchetti nascosti nell’armadio pronti per essere tirati fuori la notte di Natale, un thè caldo bevuto sotto la coperta sul divano, le cene con amici e colleghi prima che arrivino le feste, la neve che desidero che mi ricorda la mia infanzia, la ricerca del muschio per il presepe e le candele dell’Avvento.

Un salto nell’infanzia: attendere di diventare grandi

Il periodo natalizio ci permette di fare un viaggio nel tempo, ci fa tornare bambini, ci fa respirare quell’atmosfera frizzante e magica che ha accompagnato la nostra infanzia. Mi sono domandata: se potessi tornare bambina quale sarebbe la prima cosa che farei? Sicuramente sarebbe trascorrere una giornata intera con i miei nonni in campagna, correre a perdifiato nei campi, andare in bici a tutta velocità nel cortile di casa, mangiare l’uovo con il cioccolato che mi preparava nonna, fare le tagliatelle tutti insieme e vivere la Vigilia di Natale con la mia famiglia. I ricordi più belli sono quelli legati alla preparazione del Natale a all’attesa della notte Santa. Aspettare, preparare, allestire, organizzare, pazientare, questi sono i verbi che precedono l’arrivo di qualcosa di importante. Ma se avessimo perso il valore dell’attesa?

Ci vogliono i riti!

In questi giorni un’allieva scriveva “la cosa che più amavo da bambina era aspettare che la mamma mi desse il permesso di dormire dalla mia amica, quell’attesa era un misto fra speranza e timore, mi piaceva rimanere in sospeso, mi rendeva viva e dava senso a quello che desideravo, perché il momento con la mia amica era davvero vitale per me”. Mi ha fatto pensare al Piccolo Principe e alla volpe: “se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora preparami il cuore…Ci vogliono i riti”. Questa è sapienza antica, perché abbiamo bisogno di riti che scandiscano il nostro vivere, che diano valore al tempo che viviamo, che distinguano i giorni e i periodi.
Liturgicamente il tempo d’Avvento è un tempo forte, tutto si tinge di viola per ricordarci la profondità e l’importanza di stare e rimanere, ricorda la regalità perché è una sfumatura del porpora e con questo la stabilità. L’otto dicembre solitamente è il giorno che viene scelto per fare l’albero e addobbare la casa con luci e decorazioni, anche questo segna un prima e un dopo. Le quattro candele dell’Avvento accompagnano la scansione temporale delle quattro settimane che precedono Natale.

Fra finestrelle e cioccolatini: la dolcezza dell’attendere

Il simbolo per eccellenza che segna lo start di questo momento dell’anno è sicuramente il calendario dell’Avvento. Il primo dicembre si apre la prima finestrella e questo piccolo gesto ci accompagnerà fino al 24 dicembre. Qualche allievo in questi giorni mi confessava la sua impazienza: “prof, quando ero bambino i miei genitori mi compravano il calendario, ma io non resistevo fino alla fine e mangiavo tutti i cioccolatini in due giorni”. Quest’affermazione mi ha strappato un sorriso e mi ha riportato alla fatica che faccio tutti giorni con mia figlia nell’insegnarle la pazienza e la bellezza della lentezza. L’Avvento, che ci prepara all’arrivo, alla venuta di Cristo, è un monito per ciascuno di noi a stare e vivere lo scandire del tempo, a non forzare i processi ma imparare a viverli.

Il respiro dell’attesa

Esistono infinite forme di attesa: in amore, alla fermata del bus, dal medico, in coda al supermercato, nel traffico. Aspettiamo: una persona, un incontro, una telefonata, i compleanni, i giorni di festa, un referto, il rumore dei passi che si avvicinano, l’uscita della prossima stagione della nostra serie preferita. Se ci pensiamo, l’attesa è una pagina vuota da riempire, è promessa di futuro ed esattamente come nel calendario dell’Avvento è una finestra che si spalanca sul possibile. Ma l’attesa ha un ritmo, è trattenere il fiato,  prendere un grande respiro e tuffarsi in profondità. Un’apnea non si improvvisa, ci si prepara, ci si allena e soprattutto ci si concentra.
Come dice il mio amico Stefano Rolfo, maestro di yoga e di respirazione, “Quando sei sott’acqua anche un minimo pensiero ti ruba ossigeno, noi siamo abituati all’ overthinking, negli abissi questo non è possibile devi rimanere sull’attimo presente, perché anche un mimino pensiero può diventare fatale”. Vi consiglio di fare un giro sul suo profilo IG https://www.instagram.com/stefano.rolfo/?hl=it, nonché di leggere il suo libro “I colori dell’anima”, lo trovate su https://store.bandecchievivaldi.com/prodotto/i-colori-dellanima/.

Educare all’attesa

Non siamo più abituati ad attendere, a rimanere in quel tempo sospeso che ci separa da ciò che desideriamo, dal traguardo.
Quando ho fatto il cammino di Santiago di Compostela ho imparato una grande verità, che viene ribadita a gran voce durante tutti gli 800 km, che Santiago non è la meta ma è il cammino stesso ad essere la meta. Perché la strada è costellata di incontri, di volti, di storie, di imprevisti, ma sono proprio questi a rendere il cammino prezioso ed unico, se si camminasse solo per Santiago (nobilissima ragione, intendiamoci!) all’arrivo si rimarrebbe delusi, perché la bellezza è nascosta nelle pieghe di quei sentieri battuti per un mese intero.
L’Avvento è il nostro grande maestro, ci riporta al momento presente, ci insegna a stare, rimanere, vivere e assaporare l’hic et nunc. Noi figli della velocità, di un click, di Amazon prime, non ne comprendiamo più il valore. Lo osservo tutti i giorni sui banchi di scuola, siamo orfani di desiderio, nella sua accezione etimologica autentica “mancanza di stelle”, ci manca la passione, la bramosia di vedere le stelle, di cercare un cielo sotto cui stare e sperare.

Aspettare la nascita

Sono quaranta le settimane di gestazione in cui si compie una nuova vita. Un’attesa lunga nove mesi, in cui la mamma vede il suo ventre crescere, il suo corpo modificarsi, il suo essere creare spazio per l’arrivo di una nuova creatura. L’attesa è gravida! Ma la nostra vita è chiamata a crescere, a compiersi del tutto ogni giorno. L’essere umano non finisce mai di venire alla luce, se siamo nati senza il nostro permesso, siamo però interpellati ogni attimo per venire al mondo. La promessa di futuro, la tensione verso il compimento, l’apertura verso il possibile allargano lo spazio-tempo e lo trasformano da Chronos in Kairos. Un tempo propizio in cui tutto può accadere, non solo un ticchettio delle lancette dell’orologio ma un respiro di vita con una qualità diversa, imparare a dare alla luce una nuova versione di sé.

Ma a rinascere come si fa?

Se l’Avvento fosse una sfida che ci partorisce a vita nuova?
Imparare ad assaporare il presente, vivere con consapevolezza e con intenzione ogni singolo giorno senza farsi prendere dalla frenesia e dalla fretta di arrivare, ottenere e raggiungere. Il Natale incontra credenti e non credenti perché siamo accomunati tutti dal nostro primo Natale, il giorno della nostra nascita, che ci spinge nella ferialtà a fare scelte per essere “eroi del crescere”. Nel racconto cristiano Dio non appare dal nulla, ma nasce e cresce, come ci ricorda l’evangelista Luca “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52).
Dobbiamo educarci a diventare la versione migliore di noi stessi, dobbiamo accogliere la sfida che l’esistenza ci lancia nel fare cose sempre nuove, di metterci in cammino verso mete inesplorate e abbracciare l’inatteso. Questo Natale facciamoci un regalo: impariamo la bellezza dell’attesa di una nuova (ri)nascita.

Alcuni suggerimenti che mi hanno aiutato in questo Avvento:

Adesso tocca a te, buona attesa in cammino!

Anna Desanso

Foto di Freepik