Sembra una contraddizione, ma in realtà è una bellissima alleanza, a patto che prendiamo l’improvvisazione teatrale e la formazione con al centro la persona.
IMPROVVISARE: QUANDO FARLO NELLA FORMAZIONE!
Davvero sembra una contraddizione. Le sessioni di formazione vanno sempre preparate. Eppure se c’è una caratteristica che fa grande un formatore è la capacità di gestire l’imprevisto. L’improvvisazione aiuta in questo, ma fa molto di più.
UNO SGUARDO ALLA STORIA
L’improvvisazione è sempre esistita nella storia del teatro, fin dal teatro greco. Da sempre l’improvvisazione è stata un potente strumento di creazione testuali (una battuta improvvisata che funziona viene inserita nel testo) e anche uno strumento di ribellione contro la censura, visto che i censori controllavano i testi, ma non potevano controllare tutte le rappresentazioni. Da qui le prime due caratteristiche: creatività e partecipazione.
Nella commedia dell’arte all’italiana, l’improvvisazione viene messa a sistema come strumento di coinvolgimento del pubblico. Gli attori prendono spunto da un episodio sociale, un fatto capitato recentemente o anche una situazione nel pubblico, per poi applicare i canovacci dei classici che invece provavano continuamente. Per alcuni si tratta di un bluff, perché non è la vera improvvisazione, in realtà ci dice qualcosa di fondamentale che renderà possibile il teatro d’improvvisazione stesso: non si può improvvisare se non su qualcosa che si è preparato molto. L’improvvisazione è quindi un segno non di approssimazione, ma di profondità, di studio costante.
Il teatro d’improvvisazione o la vera improvvisazione teatrale, nasce poi nel XX secolo in area nord-americana (USA e Canada). Lì nascerà il più famoso tipo di spettacolo: il match d’improvvisazione teatrale.
L’IMPROVVISAZIONE PER LA CRESCITA DI UN GRUPPO
Secondo la formatrice Giovanna Prina sono tre le caratteristiche dell’improvvisazione teatrale che aiuterebbero la crescita personale e aziendale. Le illustra in un articolo sul Sole 24ore e che ripercorriamo brevemente qui. Alla base di tutto c’è il principio del teatro d’improvvisazione del “Si, e…”, cioè il prendere uno spunto e portarlo avanti. Perché la regola madre di tutto l’improvvisazione è non rispondere mai solo “No” a una domanda. Porterebbe a una chiusura del dialogo e a una sconfitta di tutti gli improvvisatori.
Da questo “Si, e…” nascono i tre punti fondamentali:
- Ascolto: per poter continuare mettendo del mio, devo prendere quello detto dall’altro, quindi l’ascolto deve essere reale e alla base di tutto. Se non ascolto perdo anche io.
- Accettare: l’ascolto deve essere senza giudizi. Le idee di tutti sono buone e tutte sono a servizio per un’idea migliore, che magari dirò proprio io.
- Valorizzare: l’idea deve essere valorizzata per migliorarla e per vincere. Perché nell’improvvisazione, non vince il singolo punto, ma la storia globale. Per questo un vero attore premia sempre l’altro, perché per vincere ha bisogno di far vincere di fatto tutti.
Un lavoro del genere è sicuramente fruttuoso per un gruppo che deve collaborare. Quindi l’improvvisazione teatrale fa bene. Ma fa bene anche alla formazione?
L’IMPROVVISAZIONE E LA FORMAZIONE
Per capire a fondo quanto faccia bene l’improvvisazione alla formazione, devo riprendere le tre passioni del formatore che ho teorizzato nel Manuale dell’Imperfetto Incontro Formativo: la passione per la materia, la passione per i formandi, la passione per la didattica.
Alla passione per la materia, l’improvvisazione aggiunge ancora più amore, legame, profondità. Proprio perché la vita mi chiederà sempre d’improvvisare, di dover gestire imprevisti, io devo possedere il più possibile la materia. Come si dice a teatro: imparo a memoria il testo, per non dover essere più schiavo del testo. Quello che conta è l’interpretazione del testo, questo richiede rispetto del testo, ma anche libertà creativa, perché toni, pause, colore della voce non ci sono nel testo.
L’improvvisazione aiuta anche la passione per i formandi. Se prima ho detto che improvvisazione non approssimazione ma profondità, ora possiamo continuare dicendo che non è approssimazione ma prossimità! L’improvvisazione è prendere quello che viene dal pubblico e metterlo in scena, nella formazione è rendere protagonisti i partecipanti, rispondendo così al principio dell’andragogia del concetto di sé dell’adulto e della sua autonomia.
L’improvvisazione aiuta anche la passione per la didattica. Il bello dei training tools e dei serious game è che anche se sai per cosa li usi, non sai mai che cosa faranno uscire da un determinato gruppo. Aver lavorato sull’improvvisazione teatrale ci aiuta a essere facilitatori più efficaci, perché accettiamo che il gruppo faccia una sua strada per andare alla meta.
IMPROVVISAZIONE E FORMAZIONE: QUESTIONE DI TERZO OCCHIO.
Gli anni di teatro e di animazione da palco mi ha portato a costruire una teoria, che ho scherzosamente chiamato “del terzo occhio”.
Alla base c’è questa convinzione: ogni occhio manda un segnale al cervello che comincia a rielaborarlo. Se ci sono troppi input, il cervello va in tilt e con esso la rappresentazione e anche la formazione. Visto che il terzo occhio è quello che mi serve, devo fare in modo che i primi due non mandino eccessivi messaggi al cervello.
Quando sei su un palco un occhio è sempre sul copione, o meglio su quello che devi dire e su dove devi andare. Come già detto più posseggo la materia, più quest’occhio è tranquillo e non fa andare sotto sforzo più del dovuto il nostro cervello.
Un altro occhio è sul pubblico, pronto a cogliere i feed-back. Ma ho imparato ben presto che non basta cogliere i feed-back, bisogna saperli interpretare. Una persona può guardarci in modo serissimo perché è contrariata oppure perché è rimasta colpita da un passaggio. La differenza non è poca. Come si fa a capirla? Di solito si introducono delle piccole domande, dei passaggi, degli sguardi più approfonditi per capire com’è davvero la situazione. Questo richiede uno sforzo. Come fare perché non sia eccessivo? Come si fa con lo sport, allenandosi! In questo, l’improvvisazione teatrale è un perfetto allenamento per gestire continuamente i feedback dei formandi senza andare in tilt.
Il terzo occhio è quello addetto al ricalcola il percorso. Sapendo io devo portare i formandi lì, ogni volta che vediamo dove si trova il pubblico, devo ricalcolare il percorso. Quando va tutto bene, continuerò con la mia scaletta, quando non va come dovrebbe ricalcolo il percorso.
IN CONCLUSIONE
L’improvvisazione (teatrale) aiuta tantissimo il formatore. Praticarla come allenamento può fare la differenza nella conduzione di un incontro. Non è approssimazione ma approfondire e approssimarsi; ascoltare, accettaer e valorizzare. È scoprire di avere un terzo occhio e allernarlo costantemente.
Immagino che la domanda sia ovvia: come alleno il terzo occhio? Con tre passi concreti:
- Alleno il primo occhio. Più posseggo la materia, più sarà facile andare ovunque e quindi improvvisare.
- Alleno il secondo occhio. Devo mettere i formandi al centro. Nella formazione non conta il sapere in sé. Che sia conoscenza, competenza o valore, non cambia. Conta solo il sapere trasmesso. Quindi sono i formandi che dicono il mio formare.
- Pratico tutti i giochi che mi fanno cambiare idea, gestire lo stress e fare associazioni d’idee. Il terzo occhio si allena così. Perciò oltre all’improvvisazione teatrale, ottimi allenamenti sono giocare a Macchiavelli, a Stay Cool e fare ogni settimana il Bersaglio della Settimana Enigmistica.
Gigi Cotichella