Noi progettiamo perché tutto sia come vogliamo noi. Progettiamo come risposta al cambiamento, perché è il nostro modo di rispondere alla vita.
NEI PRECEDENTI ARTICOLI…
Questo è il terzo articolo dedicato al cambiamento. Nel primo avevamo visto come pur essendo cambiamento e desiderando il cambiamento, c’è un motivo per cui risulta così difficile cambiare. Nel secondo articolo, abbiamo visto che l’essere cambiamento ci porta all’ascolto costante in tre dimensioni: ascoltare noi stessi, gli altri e Dio, o per chi non crede, l’aspetto valoriale e i grandi ideali.
Ora affrontiamo il passo fondativo del cambiamento vissuto come azione personale vera, perché decidere di cambiare è difficile, proprio perché la parte complessa è proprio la decisione. Eppure è la parte fondamentale. Ogni ascolto vero, infatti, richiede una decisione. Dai semplici feedback che diamo nell’ascolto attivo, alla decisione che prendiamo sulle nostre idee, sulle nostre azioni dopo aver ascoltato un altro punto di vista.
LA DECISIONE IN TRE DIMENSIONI
La decisione è l’aspetto dell’ascolto pratico, la meta di ogni vero ascolto. E anche qui abbiamo tre dimensioni.
La decisione diventa la meta dove ci porta l’ascolto e una decisione che quindi diventa il frutto dell’ascolto più attivo. È l’ascolto che si fa in tre dimensioni: la fatica, lo stile e l’obbiettivo.
- La fatica è proprio l’idea di accettare che è un continuo ricalcolo percorso e l’ascolto richiede continuamente di rivedere le proprie posizioni e continuamente di riconfermarle, di ricambiarle e di andare avanti. Questo ci chiede di smetterla di pensare che una decisone presa porti immediatamente a realizzare i nostri sogni, ma semplicemente che è il modo migliore per realizzarli sapendo che, subito dopo, dovremmo riascoltare di nuovo e vedere ad esempio cosa è successo con la nostra decisione e decidere nuovamente.
- Ci viene chiesto uno stile, non di perenne indeciso, ma semmai di perenne ri-deciso. In poche parole ci viene chiesto uno stile di fedeltà. La fedeltà e è maggiore della perseveranza, coerenza, della costanza. Questi possono essere stoici e quindi anche non positivi, la fedeltà invece chiede sì la prerseveranza, ma in un rinnovarsi ogni giorno.
- Lo stile è questione di una vita e per essere esercitato ha bisogno di obiettivi, ovvero mete più semplici che ci fanno sperimentare la decisionalità. Perché ogni decisione è positiva, non per il suo raggiungimento, ma per come il processo decisionale è stato compiuto.
LA DECISIONE ALLA BASE DEL PROGETTO
La triade di ascolto continuo in una cornice di fedeltà al rinnovamento continuo, con degli obiettivi da decidere di fatto, è la base di uno stile progettuale, e qui dobbiamo fare alcune specifiche.
Innanzitutto, non si progetta perché le cose si realizzino come vogliamo noi, ma si progetta per dare una risposta alla vita che ci chiama e il nostro modo può essere solo progettuale, perché ci dice che cosa faremo più in la, perché siamo fatti per andare oltre i problemi e oltre gli ostacoli. Il fatto che poi le cose cambino intorno a noi, non deve essere una scusa per non progettare, ma semplicemente quella per progettare a pieno, cioè, di rivedere di nuovo i sogni e i bisogni da cui attingiamo e incominciare da capo.
È molto più fedele chi si rinnova continuamente di chi, in nome di una fedeltà spesso sterile, rimane ancorato alle proprie idee, perché nel momento in cui per difendere un’idea noi diciamo la famosa frase “Si è sempre fatto così”, di fatto sappiamo che stiamo facendo morire l’idea stessa.
TRE ICONE BIBLICHE ADATTE
Ecco allora che ci possono aiutare tre icone bibliche per indicare proprio questa fatica e questo obiettivo. Come da nostro stile, sono icone universali, che valgono sia per chi crede che per chi non crede.
Un ricco nella Comfort Zone
La prima è la parabola del ricco stolto, (Lc 12,16-21) che una volta che ha ammassato parecchi denari decide di fermarsi e di godersela, di non fare più niente, e proprio in quella notte gli viene chiesta la vita e gli viene posta la famosa domanda “…di tutti i tesori che hai accumulato, che cosa resterà?”.
Da sempre il collegamento è stato con la cupidigia. Anche giustamente. Tuttavia, potremmo anche dire che c’è un errore a monte quando certi dei doni ricevuti o dei risultati raggiunti, ci si ferma, perché ormai è tutto a posto. Lì si è interrotta l’idea che è un continuo ricalcolo percorso, dove oltre ad ascoltare i bisogni (fame, successo…), ascolto anche i sogni (perché accumulare? Dove voglio davvero arrivare?).
Nel momento in cui dico “non devo fare più niente se non godermela”, sto di fatto rimanendo fermo e quindi vuol dire che non ho più niente da dire o da fare. Non è il giusto riposo o il giusto festeggiamento, è semplicemente l’idea di finirla, ma come diceva Richard Bach “C’è un modo per sapere se la tua missione sulla terra è finita: se stai ancora respirando non lo è”.
Il ricalcolo percorso sulla strada sbagliata
L’icona dello stile è l’episodio di Emmaus (Lc 24,13-34). Emmaus è un villaggio a 11 km da Gerusalemme. Lì si stanno recando due discepoli delusi dalla morte di Gesù, anche se hanno saputo che nel famoso terzo giorno, il corpo di Gesù è sparito. Loro non aspettano. Tornano a casa. A Emmaus. E sulla strada di Emmaus, Gesù li raggiunge.
Ecco. Spesso non ci accorgiamo che Gesù sta nella parte sbagliata. Lui ha dato appuntamento a Gerusalemme, ma di fatto si sta allontanando da Gerusalemme perché due discepli vi tornino. E per tutto il tragitto non fa capire mai che i due devono tornare a Gerusalemme. Si fida talmente tanto che dà l’idea che dovrebbe allontanarsi ancora di più. Gesù fa tutto questo non perché ha cambiato idea, ma perché è fedele alla sua idea. È fedele al motivo per cui bisogna stare a Gerusalemme, non a Gerusalemme in sé.
Una scelta sbagliata, fatta in modo giusto, che porta al buon risultato.
E arriviamo all’ultima icona, la parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32). Una storia famosissima: un uomo ha due figli, quello più giovane chiede la sua parte di eredità e se ne va. Sperpera il denaro, fallisce gli obiettivi e diventa talmente povero da fare il guardiano dei porci. Allora capisce che i servi di suo padre stanno meglio. Decide di tornare a casa e chiedere un lavoro come servo, perché lui non è più degno di essere figlio. Il padre, però, vedendolo tornare, gli corre incontro, lo abbraccio, lo riaccoglie come figlio e gli dà nuova dignità.
Mi soffermo sul momento in cui sta in mezzo ai porci, quando come dice il vangelo, “rientrò in sé stesso”. Lì prende una decisone, che per noi è “quella giusta”, ma in realtà se ci facciamo caso, quel progetto fa pietà sotto tutti gli aspetti:
- Non tiene conto di tutto quello che ha combinato
- Non tiene conto degli stakeholders, primo fra tutti il fratello
- Decide lui la punizione, perché lui resterà servo, non si sa se sia sufficiente o meno ma lui ha deciso di sì;
- Dichiara che lui non sarà più figlio, quindi il padre non è più il padre
Insomma, è tutta un’idea sbagliata, eppure, è proprio questa idea sbagliata che lo fa rientrare nel percorso giusto per rientrare a casa e scoprire il vero volto del padre, che è diverso da quello che aveva pensato.
E allora? Siamo autorizzati a sbagliare e va bene qualunque scelta?
No, perché non è la scelta sbagliata che lo riposta a casa, è il processo giusto che lo riporta a casa, e il precesso è il fermare ed analizzare, rientrare in se stessi, fare l’elenco della situazione, l’analisi dei bisogni, (Quanti i servi in casa di mio padre stavano meglio di me?), fare un analisi delle risorse, (il “non-figlio” conosce la casa meglio dei servi), dopodiché darsi un obiettivo, per uscire dalla confort-zone. Sapendo che è solo l’inizio.
Non è nel momento in cui c’è il progetto che il figlio scopre il vero volto del padre, è nel momento in cui lo mette in pratica. Noi progettiamo per darci delle mete: se andando verso quelle mete, resteremo aperti all’ascolto, allora capiremo meglio che cosa fare, perché la vita è sempre più grande dei nostri progetti. Solo che per rispondere alla vita, siamo richiamati a fare nuovi progetti.
IN SINTESI
L’essere cambiamento ci porta ad essere ascolto che ci porta ad essere progetto. Nessuna di queste tre dimensioni è sufficienete e autoreferenziale. Il progetto senza l’ascolto del cambiamento, diventa un idolo. Il cambiametno, senza ascolto e progetto, diventa follia. L’ascolto, senza cambiamento e progetto è l’inerzia totale.
Idolatria (o assolutismo), follia (o relativismo estremo) e inerzia (o immobilismo), sono proprio i tre mali di oggi. Per questo abbiamo bisogno di tutte e tre le dimensioni e per questo c’è bisogno di un circolo virtuoso continuo, tra di loro.
E questo vale per la nostra società e anche per ogni società: imprese, associazioni, comunità…
UNA POSTILLA SUL SINODO…
Un ultima nota sulla Chiesa Italiana. Chi è dentro questo mondo sa che stiamo vivendo un tempo sinodale speciale.
Sinodo significa “camminare insieme”. Non significa “ascoltare insieme”, altrimenti si chiamerebbe sinoto, stesso orecchio. Il camminare insieme prevede l’ascolto, di tutti e di ciascuno, e anche del contesto, della strada.
L’ascoltare insieme ci porta solo alle porte del camminare insieme. Perché camminare insieme implica il cambiamento e l’avere dei progetti, degli obiettivi.
Ecco allora che delle linee per una chiesa sinodale non possono che essere delle linee dove si viva il cambiamento, conoscendolo e affrontandolo; dove si compia l’ascolto in una dimensione costante; dove si accetti la sfida del progettare insieme come una parte decisionale insostituibile.
Il progettare insieme, ci tengo a dirlo, è ben diverso dallo scrivere progetti e basta, o peggio ancora dello scrivere documenti che auspicano che qualcuno scriva progetti in nome di non si sa che cosa. Progettare insieme è il futuro. Per questo ci lavoro e ci lavoriamo costantemente, per questo abbiamo creato Projectus, perché è un modo per mettere insieme le tre dimensioni. E anche perché è un modo per dire che se abbiamo pensato noi uno strumento… beh allora tutti possono fare qualcosa, no?
Gigi Cotichella
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