Da un’esperienza nasce una nuova serie di articoli quanto mai importante: il cambiamento e la formazione, perché noi siamo e facciamo cambiamento.
“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare” (W. Churcill)
Il cambiamento ci affascina perché noi siamo cambiamento
Siamo abituati a pensare che il cambiamento è circoscritto nella cerchia del fare: facciamo un cambiamento perché decidiamo di cambiare e subiamo un cambiamento perché è successo qualcosa.
In realtà prima di tutto noi siamo cambiamento. E per dimostrarlo possiamo pensare a tre motivi, due condivisibili con la nostra vita di tutti i giorni e uno legato al mondo della fede.
- Motivo antropologico: siamo fatti di cambiamento, fisicamente. Oggi sappiamo che la stragrande maggioranza delle cellule si rinnova, a diversa velocità, perciò ogni 5-7 anni noi siamo “completamente diversi” a esclusione di alcune cellule che non si rinnovano mai per tutta la vita. Ma è una minoranza, noi siamo quindi principalmente cambiamento. Quando questo processo si blocca, noi moriamo. Noi viviamo nel cambiamento continuo.
- Motivo sociologico: gli altri ci obbligano a cambiare perché cambiano loro. Possiamo pensare di non cambiare, convinti delle nostre idee, ma il mondo cambia e se non cambiamo di conseguenza siamo destinati ad estinguerci. Polaroid era un colosso quando rise della foto digitali, convinta dei suoi rullini… oggi è fallita. Blockbuster disse di no a Netflix, perché il videonoleggio sarebbe stato eterno… oggi è fallita. Durante le crisi (cambiamento) solo chi cambia a sua volta, reagendo, riesce a uscire dalla crisi!
- Motivo teologico: che ci crediate o no anche Dio cambia. E cambia, proprio perché è fedele. Rimanendo legato al desiderio di vederci realizzati nella piena felicità, cambia perché ricalcola continuamente il percorso per portarci alla meta. È questo aspetto che fonda il discernimento continuo: la volontà di Dio cambia per ricalcolare il percorso, reagendo ai nostri cambiamenti, da qui la necessità di rimanere sempre in ascolto.
Il cambiamento ci spaventa perché è uno stress.
Alla base di tutto c’è che il nostro cervello non è fatto per la felicità, ma è fatto per la serenità, cioè tende a risparmiare le energie andando a ripetere le azioni e prendendo le scorciatoie più facili per ottenere un risultato.
Questo crea una differenza tra i cosiddetti pensieri lenti e pensieri veloci di Daniel Kahneman. I pensieri lenti sono quelli che nascono da delle riflessioni, i pensieri veloci sono quelli istintuali, che spesso portano ai cosiddetti bias cognitivi. I bias sono degli scivoloni che il nostro cervello fa perché tende a trovare la via più semplice. Facciamo un esempio.
Prova a rispondere alla domanda “Quanti mesi hanno 28 giorni?”. Se non conosci l’indovinello, il tuo cervello istintivamente ti dirà “1… febbraio”, perché fin da piccolo sei stato bombardato con filastrocche, dati scientifici, cognizioni. Peccato che la risposta sia sbagliata, perché basta pensarci un attimo e capisci che tutti i mesi hanno 28 giorni, e quindi la risposta è 12 (se pensi che io stia sorridendo, è vero!).
La sottolineatura “Basta pensarci un attimo” dice la differenza tra pensieri lenti e pensieri veloci e dice anche che se il nostro cervello è fatto per la serenità, la nostra vita è chiamata per la felicità, la realizzazione. Tuttavia, questa passa attraverso la decisione di una vita impegnata, più faticosa. Dobbiamo deciderci di essere felice. La felicità, prima ancora di essere un diritto, come dice la Costituzione Americana, è un dovere. Oggi, tutti i percorsi di crescita personale ci dicono che dobbiamo sforzarci, che dobbiamo eliminare le scuse che ci impediscono di sbocciare.
Anche il messaggio cristiano dice la stessa cosa: il vangelo ci dice di passare per la porta stretta, s. Giovanni Paolo II diceva: “Prendi in mano la tua vita e fanne un capolavoro”. Non si tratta di stoicismo fine a se stesso, ma di volontà attuata. Se non ci decidiamo, torniamo a sbagliare.
Quindi dobbiamo decidere. Ma che cosa c’entra con il cambiamento?
Quando ci arriva un cambiamento o quando dobbiamo attuare un cambiamento, noi subiamo uno stress. Lo stress è la reazione a uno stimolo esterno che rompe la quiete voluta dal nostro cervello. Quindi reagiamo in fretta per tornare a una situazione di normalità. Almeno questo è quello che avveniva una volta quando lo stimolo era breve e intenso. Immaginate un primitivo con davanti una tigre a denti a sciabola! Grande stress, destinato a finire in poco tempo: l’uomo potrà provare a scappare o a combattere, ma dobbiamo ammettere che con ogni esito, lo stress finirà in fretta.
Oggi invece i nostri stress sono costanti, sono “tigri” dal nome strano: mutuo, immagine perfetta, conti a fine mese. Questo aumenta in modo esponenziale il peso e ci porta a cercare un mito: la confort zone. La confort zone non è la zona di riposo, ma è una scappatoia, l’idea di ricreare un posto protetto dal cambiamento dove non siamo toccati. Come abbiamo visto un posto così non può esistere, perché siamo cambiamento. E quindi? È un’illusione, siamo convinti che la confort zone ci proteggerà, e sentendo un sollievo momentaneo, ci illuderemo che sia così. In realtà più staremo nella confort zone, più ci indeboliremo, secondo questo schema:
Di fronte a un cambiamento, quindi quello che servirebbe è una reazione, che tenda a dire quello che siamo noi nel profondo e che ci faccia affrontare la crisi causata dal cambiamento. Reagire, fare cose nuove ci provoca una sensazione di disagio, di giudizio, portandoci a cedere dal nostro proposito. Per arrivare alla zona di crescita, dobbiamo però attraversare la zona della paura, altrimenti tornando nella zona di confort, saremo ancora più deboli al prossimo cambiamento.
Quindi, quali soluzioni?
La soluzione è nello stress vissuto in modo proattivo. Quando io di fronte ad un problema reagisco, combatto facendo delle scelte, io sono protagonista e lo stress è positivo e mi fa andare verso un miglioramento.
E chi non ce la fa? Va aiutato. Sempre e comunque, in un aiuto che lo porti comunque pian piano, a recuperare la propria vita, le migliori possibilità. Perché la felicità è un dovere da raggiungere da protagonisti, ma è anche un diritto, che va aiutato da ognuno di noi. Perché noi siamo cambiamento, ma per cambiare tante volte abbiamo bisogno dell’aiuto vero degli altri.
La formazione è un aiuto. In tanti modi. Può dare degli strumenti per affrontare la zona della paura nella creazione di nuove abitudini, può motivare nei momenti difficili, può creare degli spazi di riflessione per decidere come agire.
GG Cotichella
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