Ancora una nuova rubrica. Sullo slancio dell’imminente uscita delle espansioni di Projectus, affrontiamo le sfide del progettare come stile formativo.
CHE COSA È PIÙ UTILE: VERIFICARE O VALUTARE?
Chi ha letto il Manuale dell’imperfetto incontro formativo, sa quanto per me sia diventato importante il tema della valutazione nell’ultimo periodo. Io l’ho sempre sottovalutato. Anche se ho sempre sentito l’esigenza della verifica, soprattutto della riunione di verifica, di quel momento in cuiun gruppo di lavoro si confronta schiettamente sulla situazione che vive.
La scienza pedagogica che studia la valutazione si chiama dociomologia. Per la dociomologia, la valutazione è il processo per riconoscere in modo il più oggettivo possibile il possesso di un sapere, di una competenza (saper fare) o di un valore (saper essere). La verifica, invece, è semplicemente la prova che si fa nel percorso di valutazione per raccogliere dati. Esattamente come a scuola, dove la valutazione è il proceso globale e la verifica è il compito in classe o l’interrogazione.
Ho impiegato un po’ a capire perché non mi convincesse del tutto, ma alla fine scoperto il punto e ho dato una svolta al mio rapporto con la valutazione. E il bello è che la soluzione era davanti a me, nascosta nelle parole.
Prima di andare avanti è necessaria una premessa. Non mi interessa cambiare l’ordo accademico su questo punto. Questa visione che ti accennerò a breve, mi è servito per cambiare prospettiva e migliorarmi. Il metodo di fondo rimane lo stesso: leggi tutto, valuta e poi trattieni il bello e l’utile.
Partiamo dalle parole: tre miti della cattiva verifica!
Partiamo dalle parole, quindi. E iniziamo con verificare. Letteralmente significa: “verum facere“, fare la verità. Bellissimo che la verità bisogna farlo, non semplicemente dirlo. Cioè fin dall’inizio capiamo che a una riunione di verifica nessuno possiede la completa verità e che il confronto richiede una grande fatica. Perché è così impegnativo? Perché siamo schiavi di alcuni “miti” applicati alla verifica. Te li elenco come consigli per vivere al meglio la verifica.
- Non fermarti a Cassandra. Cassandra era la figlia di Priamo, re di Troia, che ricevette da Apollo il dono della profezia, tuttavia avendone rifiutato l’amore richiesto, ricevette la maledizione di non essere mai creduta. Così nonostante avesse visto il futuro su Paride e sul cavallo di Troia, non fu creduta. Da allora si dice “fare la Cassandra”, quando predici cose negative e nessuno ti ascolta. In psicologia è anche una sindrome, di cui puoi intuire il contenuto. Dov’è l’errore di Cassandra? Dire soltanto il negativo e dire soltanto. Una verifica non può essere fatta solo di “ciò che non è andato bene”, anche analizzare i passi giusti per farli diventare stile è verificare. Inoltre, l’ho detto all’inizio: verificare non è solo “dire il vero”, ma farlo. Cassandra, annunciava sempre agli altri di fare qualcosa per il bene di tutti… ma lei era la prima a non farlo! Capisci? Aspettava gli altri!
- Non crederti Sisifo. Sisifo era re di Corinto. Sfidò gli dei più volte, vincendo in astuzia. Per questo fu condannato da Zeus a spingere per l’eternità, un enorme masso sulle pendici di una collina. Ogni volta che Sisifo arrivava in cima, il sasso sarebbe rotolato in fondo obbligando il sovrano a ricominciare il percorso. Quante volte ci crediamo Sisifo, perché facciamo mille riunioni di verifica e non cambia niente. I consigli qui sono rapidissimi: 1) analizza se fai una buona riunione di verifica; 2) pensi che le cose non migliorino, ma non hai visto come sarebbe se togliessi tutte le riunioni di verifica; 3) vivi la tensione dello sportivo: perdere partite e campionati, non fa eliminare gli allenamenti, semmai li fa aumentare!
- Non fare come Eris. Eris era la dea della discordia, non invitata a un matrimonio, si presentò lo stesso e lanciò un pomo d’oro con la scritta “Alla più bella!”. Subito la pretesero sia Atena, che Era, che Afrodite. Non sapendo chi delle tre fosse, Zeus stabilì che fosse il più bello dei mortali a decidere: Paride, principe di Troia. A lui le tre dee promisero sapienza (Atena), potere (Era), l’amore della donna più bella (Afrodite). Paride scelse quest’ultima, ottenendo l’aiuto per rapire Elena, moglie del re Menelao, scatenando così la famosa guerra di Troia. Quante volte ci sentiamo fuori posto a certe riunioni? Quante volte “diciamo la verità”, solo per ripicca e non per costruire la verità? I segni di Eris nelle nostre riunioni sono molteplici e sono anche quelli da evitare per migliorarci: 1) sarcarsmo; 2) repliche puntuali perdendo di vista l’obiettivo più grande; 3) voglia di rivalsa personale maggiore della ricerca del bene comune; 4) partire sottolineare la differenza, al posto dei punti in comune.
Continuiamo con le parole: i due sensi del valutare
Anche valutare ha una bella storia etimologica. Normalmente significa dare un valore, ma nascendo dal participio di valere, significa anche avere valore in sé. Quindi due signficati paralleli: dare un valore e avere valore. Qui è avvenuto il mio scatto sematico: voler unire i due binari, renderli legati al di là del treno che avrebbero trasportato. Il cambio è in quel “e”, di quella coniugazione congiuntiva deve diventare preposizione finale. Noi diamo un valore per avere valore, noi cioè valutiamo per far crescere ciò che stiamo valutando. Dare un valore, significa testare, assaggiare, per capire come correggere: devi assaggiare il sugo per sapere se “va bene”! Ma l’obiettivo non è dire che il sugo è buono o cattivo! L’obiettivo è avere un sugo buono, perché noi diamo un valore per avere valore.
Questa frase cambia completamente il senso dell valutazione: mai più processo umiliante, ma spinta esaltante.
- La valutazione è sempre per il miglioramento. Deve contenere in sé i germi per lo sblocco, non deve dire solo dove mi trovo in questo momento, deve anche dare le prospettie per essere più avanti. Per farmi raggiungere una meta, il navigatore chiede la posizione di partenza e la posizione di arrivo.
- Si valutano le prestazioni e i processi non le persone. Questo perché la persona è sempre più grande di ogni processo che vive o prestazione che compie. Non c’è bisogno di umiliare qualcuno, perché per il processo di autorialità, la persona è già dispiaciuta di non aver fatto un “buon lavoro”.
- Si può e si deve valutare tutto, si può e si deve far valutare da tutti. Le prestazioni, i processi, le modalità, le relazioni con gli stakeholder, tutto è oggetto di valutazione, perché tutto può essere migliorato. E poi la vera valutazione è democratica, implica sempre una partecipazione allargata e inclusiva.
In conclusione?
Avrai già capito che entrambi sono necessarie, ma come sono legate. Dò la mia risposta nel Manuale:
Per me verificare è un tempo di verità in cui tutto il processo di valutazione fatto, mette davanti a te i suoi frutti e ti dice: «Adesso fai la verità!». Quindi la verifica non è il momento di raccolta dei dati come nella valutazione scolastica (Tessaro, 2004), ma un momento
in cui facciamo la verità con i dati raccolti e con i vissuti di tutti. E fare la verità è molto più di dire la verità.
Fare la verità è riiniziare un cammino, perché anche se scopriamo la verità sul dove siamo (quello che ci dice la valutazione) ci manca la verità del dove andremo. Perché noi siamo anche le decisioni che prendiamo.
Verificarsi è un tempo sacro in cui non solo facciamo i conti con noi stessi, ma prendiamo appuntamento con i nostri sogni e con i nostri desideri per provare a realizzarli o dargli il nome giusto.
Per me quindi la verifica è più grande della valutazione perché è il momento che dà pieno senso alla valutazione stessa, ma è un momento che esiste davvero solo se il processo di valutazione è stato fatto pienamente.
Sono due elementi entrambi indispensabili e fondamentali.
Perciò non ci rimane che valutare bene per poter verificare al meglio. E così crescere. Ancora una volta.
Gigi Cotichella1