Una premessa fantastica
Ci pensavo da un po’, ma sicuramente ha dato il colpo di grazia aver incontrato i giovani ucraini dell’accademia di teatro di Kiev ospitati dal Centro di Pastorale Giovanile di Verona. Parlare con Matteo Spiazzi e con Emanuele, mi ha riportato a un periodo della mia vita in cui il palco era davvero tanto, se non tutto. L’ho fatto con serenità, come spiegavo a Emanuele, attore e futuro regista che ogni settimana viene su da Roma, a dare una mano per far continuare gli studi a questi trentina di splendidi giovani. Non mi definisco più teatrante per rispetto. La passione c’è ancora tutta e sicuramente tutto quello che so del palco lo porto nella formazione. Ed è proprio in quest’ambito che continua anche la ricerca. Così dopo aver insegnato per anni Animazione da Palco e Filosofia del Varietà, eccomi pronto in questa nuova avventura “Teatro&Formazione”, che cosa il teatro può insegnare al mondo della formazione. Anche perché dopo un incontro del genere… devo ammettere che mi sono venute in mente mille idee.
Cinque dimensioni di base
Quando insegnavo teatro nelle scuole, per semplificare partivo dal dividere il teatro in cinque dimensioni, tutte distinte e tutte collegate. Ho visto che aiutava molto per impostare il lavoro con i ragazzi. Le 5 dimensioni erano: corpo, voce, spazio, storia, pubblico. Poi lavoravamo su ognuna di queste in modo specifico, facendo però emergere sempre di più il collegamento con le altre. Ognuna di queste, dimensioni infatti, ha dentro di sé tutte le altre, le chiama, le invoca. Ognuna di queste però è anche specifica e unica. Ognuna di queste le troviamo anche nella formazione. Oggi partiamo con lo spazio.
Lo spazio scenico
Ho impiegato un po’ di tempo, ma lavorando con il teatro di strada e il varietà, ho capito che il palco lo facciamo noi. Non nel senso che lo costruiamo con mattoni e legno, ma perché è il fatto stesso che vogliamo “dire qualcosa” che ci chiede di creare un palco.
L’ho scritto anche sul Manuale dell’imperfetto incontro formativo: “Non è forse un palco la cattedra di un professore, il cortile di un animatore, lo spazio sul pavimento da cui qualcuno dà informazioni a un gruppo in attesa? Sì, sono palchi in senso potenziale. Al contrario di un palco teatrale, che resta tale anche alla fine della rappresentazione, i palchi potenziali ridiventano cattedre, cortili e mattonelle. Da qui puoi capire che siamo noi che facciamo il palco. Noi e la storia che portiamo in scena” (pag. 94). Certo si parla di reggere il palco e sai il perché? Perché un palco è un creatore di aspettative, da un palco tutti ci aspettiamo qualcosa. L’aspettativa è la forza del palco e la croce del formatore.
Quindi è la nostra voglia di comunicare che fa un palco, e se un palco esiste già, l’aspettativa creata deve essere riempita dal nostro desiderio di comunicare e dal testo che vogliamo comunicare.
3 insegnamenti del teatro sullo spazio
Il teatro è molto chiaro sullo spazio. In particolare, ci consegna quattro assiomi.
- Scegli con cura. Come dice Giacomo Andrico, grande scenografo teatrale, lo spazio scenico è un segno registico fondamentale per uno spettacolo costruito con un forte impianto interpretativo. Che cosa significa? Che la decisione di allestire in un modo o in un altro lo spazio scenico dice già quello che voglio dire. Da qui la forza delle scenografie. Uno spazio allestito parla prima di noi. È per questo che nella formazione diamo molta attenzione al setting. Il setting è un misto di disposizione del normale attrezzario formativo (sedie, tavoli, proiezioni, ecc.) e di alcuni simboli che dicono il tema. Ora la prima cosa a cui pensare è la cura dello spazio, la cura si vede da alcuni segnali che diventano però già degli annunci della tua preparazione:
⇒ Se hai allestito diversamente, dici che usi del tuo tempo per i formandi.
⇒ Se hai trovato dei simboli, dici che hai bene in mente ciò che vuoi dire.
⇒ Se metti tutto il materiale a portata di mano, dici che rispetti i formandi evitando perdite di tempo
⇒ Se l’allestimento ha una visione globale finale, annunci una visione sistemica.
⇒ Se il tutto è coerente, firmi il tuo stile. - Ciò che non serve eliminalo. La forza delle scenografie, ci viene insegnata anche da quegli spettacoli che tendono a eliminarle, puntando al minimo essenziale. Se non posso dare un senso o anche solo un po’ di bellezza a quello che ho, è meglio eliminarlo, toglierlo dalla vista, perché distrae soltanto. Pensa che in gergo teatrale, i tecnici dicono: “Bonifichiamo!” per eliminare tutto ciò che è stato usato per l’allestimento ma che non c’entra niente con lo spettacolo. Lo dicono, perché ciò che non serve è pericoloso, è esplosivo, è distraente, negativo.
- Riempi lo spazio. Tradotto in termini tecnici: “Muoviti!”, non nel senso di sbrigarti, ma in quello di muoverti nello spazio che hai a disposizione. Muoversi nello spazio quando parliamo, richiama l’attenzione, indica che il nostro dire riempie tutta la scena, risveglia le persone perché sembra che noi ci avviciniamo a loro, togliendole dalla loro confort-zone.Anche qui vediamo alcune regole semplici:
⇒ Non ci si muove senza un motivo comunicativo. Meglio allora stare fermi e usare la gestualità nel giusto modo.
⇒ Va bene camminare per scaricare l’energia nervosa. Noi dobbiamo muoverci per scaricare l’adrenalina e lo stress in eccesso. Stare fermi pensando che le cose si risolvano da sole è come chiudere la valvola quando la pentola a pressione sta già facendo bollire l’acqua!
⇒ Muoviti per sottolineare alcune frasi. Alcuni verbi evocano un movimento, in quel caso attuarlo aiuta la concentrazione di chi ascolta e ci permette di muoverci per scaricare lo stress.
⇒ Metti nello spazio. Che cosa? Il testo, la storia o almeno parti di loro. A teatro è normale. Nella formazione Robert Dillts l’ha teorizzata nel concetto delle “ancore spaziali”: si tratta di mettere dei contenuti con il nostro corpo, in alcune parti del palco. Per esempio, tutti gli elementi positivi a destra e quelli negativi a sinistra oppure tutto ciò che riguarda il passato a destra e il futuro a sinistra, così chi ti guarda, vedendo al contrario, rivedrà la scrittura da sinistra a destra (ricordati che questo non vale con il mondo arabo che scrive al contrario!). La base delle ancore spaziali è la base della teatralizzazione delle favole: si crea un collegamento inconscio tra lo spazio occupato e il contenuto collegato. La regola è semplice: più è ripetuto in modo coerente, con richiami anche nel tempo, più funziona.
In conclusione
Ora hai alcuni consigli pratici per usare lo spazio come alleato per la formazione. Occorre perciò allenare il linguaggio ambientale, ovvero il linguaggio della cura dello spazio, che è l’unico che si può completamente preparare prima dell’evento formativo stesso. Per farlo ti lascio le domande di valutazione che ho messo nel Manuale, quando ne parlo (p. 84-85)
- Quanta attenzione metto nell’allestimento dell’ambiente?
- Che campo semantico generale ho scelto per l’ambientazione?
- Che immagine ho scelto per il messaggio principale?
- Quale oggetto/simbolo ho scelto per il messaggio principale?
- Con quale proiezione accolgo la gente?
- Quale track list di accoglienza?
- Dove e come ho collocato i materiali che userò nella formazione?
- Quale posizione delle persone è più adatta?
Rispondere a queste domande ti permette di scegliere al meglio e di fare eventuali correzioni prima di partire, perché lo spazio parla sempre prima di noi.
GG Cotichella
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