Terza puntata dell’educare nel digitale. Prima sfida: il mito dell’immagine perfetta. La soluzione? Tornare a narrare.
NARRARE PER SMUOVERE E PROMUOVERE
Nella prima puntata abbiamo visto che è possibile educare al e nel digitale. Nella seconda abbiamo trovato le quattro sfide che ci vengono lanciate, sfide che nascondo delle paure, ma anche, per fortuna delle opportunità. Ora cominciamo a vederle una per una, partendo dalla prima.
Il sospetto alla base: l’immagine perfetta.
Viviamo in un mondo di copertine patinate, dove la fotografia del cinema è ormai diventata alla portata di tutti. La fotografia del cinema è l’arte di posizione luci e inquadrature per dare alle immagini la forza della storia. Oggi con filtri, ritocchi è opera di tutti i momenti e di tutte le persone. Nessuno mette foto brutte sui social (se ci sono è perché ci hanno taggato!). Da qui l’idea di una perfezione costante e impossibile da gestire, perché non possiamo essere sempre vestiti da matrimonio, sempre in forma, sempre bellissimi o bellissime.
Sui ragazzi questo ha degli effetti devastanti in termini di ansia di prestazione, accettazione di sé, disinteresse per tutto ciò che non è apparenza.
Ma sono soprattutto quelli che inseguono l’immagine perfetta che corrono dei grandi rischi.
La grande paura: sexting e challenge
Sono due termini che oramai sono entrati nel linguaggio di chi si occupa dei ragazzi. Il sexting è un neologismo nato dall’unione di sex (sesso) e texting (invio di messaggi elettronici). Si tratta quindi di inviare messaggi, foto, chat a sfondo erotico e sessuale tra due persone. Questa pratica riguarda sempre più spesso ragazzine, anche molto giovani. A volte è anche unito alla richiesta di denaro. Le challenge sono invece le sfide (questo significa il termine) verso gesti estremi, spesso collegate a un selfie che ne certifichi la realtà. Inutile dire della pericolosità delle iniziative.
Che cosa spinge dei ragazzi e degli adolescenti a gesti simili? Sicuramente l’affermazione di sé, l’esserci, che in un mondo dove l’immagine è tutto, non può che puntare sull’esaltazione dell’immagine e del risultato.
Come dice la psicoterapeuta Laura Turuani sul sexting: «In questo momento e in questa società in cui la bellezza, il successo e il riconoscimento degli altri sono sempre più importanti per sentirsi accettati, anche la foto del proprio corpo che riceve degli apprezzamenti diventa un modo per sentirsi più sicuri. Andando più in profondità, però, questa esposizione o sovraesposizione del proprio fisico denota una fragilità e una forte insicurezza sul proprio aspetto». Mentre sulle challenge, Fabiana Clemente ci fa notare che il motivo più comune e facilmente intuibile è certamente il bisogno di notorietà ed attenzioni: i ragazzi, in questo modo, sperano di ricevere un riconoscimento sociale, di essere apprezzati maggiormente dagli amici e di apparire come coraggiosi e trasgressivi.
La sfida: identità e narrazione
La sfida educativa che c’è dietro è il lavoro sull’identità e sulla narrazione.
Il lavoro sull’identità è un lavoro sulle motivazioni, ma anche sulla fatica. Spesso come adulti siamo iperprotettivi, impedendo ai ragazzi e ai giovani, un vero accesso alla vita dove la bellezza ha una parte collegata all’ “apparenza”, alla festa, ma c’è anche una bellezza legata al lavoro, alle relazioni, alla solidarietà. Questo lavoro dipende davvero da ogni ragazzo, da ogni ragazzo, da ogni gruppo formativo per preadolescenti e adolescenti.
Il lavoro sulla narrazione è il lavoro fondamentale e trasversale. E si basa su due parole chiave: rielaborazione e restituzione. È un lavoro fondametale perché è alla base di tutto, è un lavoro quotidiano che porta frutto nel tempo. Proprio per questo è un lavoro che si può “abbandonare” senza immediate conseguenze, ma con gravi danni nel futuro. In questo sta la sua forza e la sua problematicità.
L’opportunità: rielaborazione
Ne ho parlato anche nel Manuale dell’Imperfetto Incontro formativo. Sono due colonne portanti della crescita. La crescita personale avviene come la crescita del corpo: abbiamo bisogno di mangiare e di digerire, cioè di assimilare quello che ci serve. Il cibo è tutto ciò che esterno a noi: esperienze, errori, fiducia degli altri, aiuto, conoscenze. Eppure tutti sappiamo che di fronte alla stessa esperienza, un giovane cresce e un altro no. Perché? Perché manca un enzima esistenziale. che è la rielaborazione. Che cos’è esattamente? È una riflessione profonda su un vissuto personale che gli dà un nuovo valore. È quella cosa per cui posso migliorare anche dopo aver fatto un grande errore, posso crescere anche dopo una brutta esperienza, posso far diventare stile qualcosa che ho imparato.
Che cosa possiamo fare?
La rielaborazione è un processo personale, che noi non possiamo forzare, ma solo favorire. E per farlo possiamo fare due cose:
- Restituzione. Se la rielaborazione è affare del giovane, la restituzione è tutta nelle nostre mani. La restituzione è mostrare al ragazzo e al giovane, la bellezza che c’è in loro. Non è semplicemente una nostra opinione, è dire il bello che è davvero in loro. Si chiama “restituzione” non “ogni scarrafone è bell’a mamma soja”! Come si fa? Si deve dire il “perché”, mostrare le prove. Quel ragazzo è in gamba? Da che cosa lo vediamo? Dare le prove, significa aiutare il ragazzo a raccogliere dei pezzi di sé, non è una mia opinione, è oggettivo, si vede.
- Oasi di Rielaborazione. Creare dei tempi speciali dove “narrarsi”. Non dei tempi dove facciamo un elenco di risposte. Un tempo dove stacchiamo, dove diamo spazio ai loro modi di esprimerli, senza giudicarli immediatamente e dove anche noi raccontiamo un po’ di noi, senza moralismi. La narrazione è bella perché non è sempre introspettiva direttamente, nei romanzi che ci piacciono noi ci rispecchiamo perché una storia che parla d’altro attiva i nostri neuroni specchio. Possiamo parlare della nostra vita commentando un film della Marvel o l’ennesima serie di Netflix. Possiamo riaccendere la narrazione partendo da qualche cosa che stiamo facendo insieme, da una passione che ci dona un terreno neutrale per ripartire.
In conclusione
Come vedete, possiamo fare molto su questa sfida. L’importante è iniziare per tempo e farlo nel tempo. Progettualità e fedeltà rimangono due caratteristiche fondamentali dell’educare. La prima ci fa vedere sempre più in là, ci fa profeti, ma i profeti sono sempre dei grandi anticipatori dei tempi: quando si sta bene ci fanno lavorare di più, perché il ben-essere e la pace, non sono mai scontati e non durano nel tempo senza un lavoro costante. La seconda ci fa rimanere, anche nei momenti difficili.
Narrare è vivere appieno progettualità e fedeltà. Per questo è importante narrare, narrarsi e far narrare. Sempre. E ogni giorno.
Gigi Cotichella