LE PAROLE DELL’EQUIPE

Oggi saper lavorare insieme è davvero una competenza fondamentale. Proviamo a rifletterci insieme attraverso l’analisi di tre parole.

TRE PAROLE PER IMPARARE A LAVORARE INSIEME

Oggi è praticamente imprescindibile in ogni lavoro. E parole ripetute continuamente come “spirito di squadra” e “teambuilding” lo dimostrano, come lo dimostra la voglia di spiegare la differenza che c’è o  ci dovrebbe essere tra gruppo, squadra, equipe e staff.

Parlo del lavorare insieme e del lavoro d’insieme. Anche qui che differenza. Mi piace lavorare insieme, ma anche “lavoro d’insieme” non è male, perché quando si lavora insieme, il lavoro non è di tutti, che è poi la somma dei tanti ciascuno che vi hanno partecipato, ma dell’insieme, che indica il gruppo trasformato dal modo di lavorare. Insieme, appunto.
E noi siamo fatti al plurale, siamo animali relazionali, come ebbero a dire molti filosofi da Aristotele in poi.
Solo che anche se “fatti non fummo per essere bestie”, resta davvero difficile lavorare insieme. Serve un po’ di pensiero pratico per capirlo. Che poi vuol dire che ci va un po ‘di teoria e un po’ di pratica, possiblimente sulla stessa linea.
Il primo modo di alimentare il pensiero, è rifare il vocabolario. Ecco allora tre parole da recuperare per essere agite in un modo nuovo.

La prima parola, la base. L’EQUIPE.

La prima parola è “equipe”. La preferisco a staff, squadra, gruppo. Il motivo sono le mie radici nel lavoro sociale e l’etimologia.
Equipe è una parola francese, che deriva da un termine più antico, che indica nave, imbarcazione. La radice è scafo e con una aggiunta di una e protetica, da cui deriva appunto equipe, termine che racchiude in sé una definizione bellissima: tutto ciò che serve a navigare. È bello che la totalità di quello che serve per navigare sono le persone che fanno andare avanti la barca. Tanto che da lì deriva anche tutto ciò che serve per equipaggiarsi. 
C’è una svolta fondamentale nel vedere nell’equipe “tutto ciò che serve per navigare”. Se ne siamo convinti, ci sono delle conseguenze.
La prima conseguenza è la cura. Se sai che una cosa vale, la curi di più. Capire che cos’è davvero un’equipe, fonda il suo curarsene. E dalla cura nasce la conseguenza della formazione stessa dell’equipe. Non importa il modo (con una persona esterna, accompagnamento personale e di gruppo, formazioni interne, fomazione diffusa), quello che conta è viverla. Perché l’equipe e la parola che sta alla base e se non si cura la base, difficilmente il tetto starà in piedi.
L’equipe infine fonda l’equipaggiamento, cioè bisogna stabili che ogni strumento è imprescindibile dalle persone e quando in un gruppo utilizziamo uno strumento nuovo, è fondamentale che questo diventi parte del gruppo di lavoro stesso. Per questo, quando si introduce una novità in un gruppo di lavoro, bisogna sempre fare i conti con il tempo: il tempo di assimilazione, i tempi di riequilibratura, i tempi di tutti a ridiventare equipe, perché introducendo una variabile nuova, qualcosa si è decisamente spostato.

La seconda parola, i vertici. I COLLEGHI.

Se alla base c’è la consapevolezza che un’equipe è tutto ciò che ci serve per viaggiare, i vertici aiutano la base a svilupparsi per tutta l’area. Lo sviluppo risponde alla domanda classica che tutti si fanno: “Ma come si fa a far andare avanti un gruppo di lavoro?“. È la seconda parola che ce lo dice. È una parola presa dal mondo del lavoro, una parola bellissima, che però abbiamo distrutto e snobbato, spesso denigrandola. La parola è collega. Collega, dice già nella radice stessa che c’è qualcosa che ci lega insieme, ma legare a sua volta è un termine molto particolare, per la sua ambivalenza valoriale, perché la parola indica pertanto l’avere un legame e al contempo, essere legati, vincolati, bloccati. Forse perché ogni legame chiede un vincolo. Collegare è “legare insieme”. Si collegano le sponde di due rive attraverso un ponte, si collegano due città attraverso una strada specifica. Ecco collega, indica che siamo legati insieme ed è una parola bellissima e fondamentale nel mondo del lavoro perché indica anche dove sta questo insieme. Che non è nella simpatia, nell’amicizia, almeno non principalmente. Spesso si dice:” Quella persona lì non è un collega, non è solo un collega è un amico!”, pensando che appunto sia la parte migliore. In realtà collega è di più, perché è prima ed è più grande dell’amicizia, perché riesce ad andare oltre la simpatia e l’antipatia. Dirsi “Colleghi” diventa quindi la ricerca di quella cosa che ci fa stare insieme e di nuovo stimola la formazione sul lavoro, soprattutto quella sull’identità, sul senso di appartenenza che ci colpisce!
L’essere colleghi fonda il lavoro d’equipe: è perché questo ente ha chiamato entrambi, che io e te siamo chiamati a lavorare insieme. Alla fin fine è il lavoro stesso che crea il lavoro di equipe e ci fa colleghi, perché è un lavoro umano e quindi pieno di relazioni. Che non sono un di più. Sono semplicemente l’assolutamente necessario: se le togli, elimini il lavoro stesso.
Quindi i teambuilding organizzati non sono un premio o una cura per i problemi, sono ri-costituenti da prendere ciclicamente perché altrimenti non si cresce come colleghi.

La terza parola, l’altezza. LA VERIFICA.

Ma come si fa a sapere se siamo una buona equipe. Uno potrebbe pensare: “Basta andare vicino alla macchinetta del caffé… che con tutti i pettegolezzi  è spesso la maccina della verità!”. In parte e neanche troppo grande. Perché quando spettegoliamo, pensiamo di fare il vero, ma in realtà non ascoltiamo tutte le campane, non c’è un contraddittorio né un confronto, non lo viviamo nei tempi e negli spazi giusti.
Perché noi abbiamo bisogno di verificare. Come ho scritto ne “Il manuale dell’imperfetto incontro formativo, la verifica è la dimensione dove si fa la verità. Per farla ho bisogno di tutti gli strumenti e le conoscenze della valutazione.
Valutare è darsi un valore per dare valore.
Verificare è fare concretamente la verità.
Servono entrambi. Come servono dei tempi dove si va aldilà delle prestazioni e delle strette valutazioni in sé. Perché passiamo dal dare un lavoro, ma solo come passaggio per arrivare a capire il vero valore. Se fare la verità ci fa scoprire punti amari, ci dobbiamo ricordare che è solo una geolocalizzazione e questa ci serve sempre e solo per trovare come arrivare a una meta.
La verifica più grande è quella costante proprio sul nostro essere equipe. Fare equipe si impara e si impara al plurale, perché ognuno ha i suoi tempi. La verifica è un salto di apprendimento. È dirsi la verità, ma per fare, costruire la verità. La verità è che la nostra equipe lascia molto a desiderare? Bene, è vero. Ma non dice la verità su come sarà la stessa equipe a tre mesi! Fare la verità significa costruire quello che abbiamo capito che manchi, è decidere di andare dove non siamo ancora giunti. Fuori dalle metafore, ci si verifica su come viviamo l’equipe per saper dove siamo (dire la verità), ma anche e soprattutto per decidere  che cosa vogliamo fare per andare dove dobbiamo (fare la verità).

In conclusione.

Sembra un circolo chiuso. L’equipe è tutto quello che ci serve per poterci dare degli obiettivi e raggiungerli. Tuttavia, l’equipe può lavorare bene solo se continuamente affonda le radici su “l’essere collega”, ovvero sulla sua dimensione per cui una persona si sente collegata all’altro e ci lavora sopra. Quanto detto ha un punto di svolta nei tempi di verifica, dove la valutazione aiuta a capire dove si è e il verificare, decide dove andare. L’equipe è la base. I colleghi sono i vertici. La verifica ci fa capire se siamo davvero all’altezza. Tutti i passi che facciamo per tenere insieme questo poligono paticolare… è l’area della nostra realizzazione nel mondo del lavoro, del volontoriato, della comunità.

Gigi Cotichella

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